Foto AP Photo/Alastair Grant  

Quello che ancora non riusciamo a elaborare ora che Federer è uscito dalla top 10 del tennis

Giorgio Burreddu

Il tennista svizzero ha compiuto 40 anni ma la sensazione è che gli appassionati di questo sport non siano pronti al suo addio. La colpa, forse, è della bellezza di questo artista con la racchetta, una bellezza che si è rinnovata talmente tante volte da non poterne accettare la fine

E così da lunedì Roger Federer non sarà più tra i primi dieci del mondo. Dove è stato per 968 settimane, mai nessuno come lui. Shock, first reaction: “Ma por****** ***! Vaf%##@@!”. Oppure: meglio rassegnarsi. Il tempo di accettare l’inevitabile è dunque arrivato. Ok: con Roger non si sa mai. I profeti della decadenza li ha già giustiziati tutti. Quando aveva 33 anni e gli davano del vecchio (ma su Sportskeeda scrivevano che “è capace di giocare come un ventitreenne”). Quando ne aveva 35 e a Stoccarda perse contro Haas gli davano del vecchio. Quando ne aveva 37 e a Wimbledon perse la finale contro Djokovic gli davano del vecchio (e lui disse che “a 37 anni non è tutto finito, ma cercherò di dimenticare questa finale”). E ovviamente a 40, compiuti l’8 agosto scorso, quando gli auguri per il suo compleanno divennero un conto alla rovescia su “quanto tempo a disposizione abbiamo ancora per celebrarlo?”. Quel tempo, per fortuna, non finirà mai. Sta lì la grandezza di Federer, oltre i venti titoli dello Slam vinti.

E allora che cos’è che ci stupisce tanto di questo declino? Che cos’è che non riusciamo a elaborare, ad accettare, a capire? La colpa, forse, è dell’abbagliante bellezza di questo artista con la racchetta, qualcosa di cui abbiamo bisogno come esperienza, come nutrimento, una bellezza che si è rinnovata talmente tante volte da non poterne accettare la fine.

 

“Sono felice di aver compiuto quarant’anni” ha detto il giorno del suo compleanno “anche se all’inizio facevo finta che fosse una cosa terribile. Mi ricordo il mio ventesimo compleanno, pensavo di sapere chi fossi ma non ne avevo la minima idea”.

Chi era Federer l’ha dovuto scoprire da solo. Da ragazzino era quello che spaccava le racchette. “Continuando a comportarmi in quel modo forse sarei diventato lo stesso un campione, ma non avrei vinto mai così tanto. Forse sarei rimasto in top 10 un po’ di tempo e avrei vinto qualche Slam”, avrebbe detto in un’intervista al Guardian. All’evidenza della classifica Atp Federer ha aggiunto la grazia. Ma ogni volta che ne è scivolato fuori abbiamo temuto il peggio. La prima volta che lasciò la top ten, per esempio, era il 2002. Durò una settimana appena. La seconda volta che scivolò fuori dai migliori dieci era ancora il 2002, un mese più tardi. Allora però Federer aveva vent'anni, e vederlo allontanarsi da quello che sarebbe diventato il suo posto nel mondo (del tennis) faceva sensazione ma non troppo. “La gente ne parlava e io avevo davvero paura di aver perso il mio talento. Per fortuna la mia famiglia e Mirka hanno avuto grande fiducia in me”.

 

Per la terza volta ci sono voluti quattordici anni. Per lo svizzero il 2016 fu un anno difficile, un’operazione alla gamba (la prima), i problemi alla schiena, gli acciacchi, i nervi scoperti, le partite che non giravano bene. A novembre di quell’anno perse ancora la top ten, ma a quel punto vederlo scendere dall'olimpo era uno choc. Eravamo tutti troppo abituati a considerarlo immortale. A gennaio tornò in campo e vinse gli Australian Open in cinque set contro Rafa Nadal, ristabilendo l'ordine delle cose. Al Wall Street Journal avrebbe confessato che “forse quello che ci voleva era proprio quel periodo di rigenerazione”.

Sono queste continue resurrezioni che hanno alimentato il nostro immaginario al punto che e a ogni stagione, a ogni partita, a ogni punto, persino a ogni gesto, speriamo di ritrovare il Federer che fu. Ma il pensiero di Roger, quell’”esperienza religiosa” come ha scritto David Foster Wallace, non può finire. Il resto è corpo, materia. “Certo, le cose che i grandi atleti fanno con il proprio corpo il resto di noi può solo sognarsele. Ma i sogni sono importanti, compensano diverse cose”. E lui è stato così tanto nei nostri sogni che faremo fatica ad abituarci a qualcosa di meno.

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