Foto LaPresse

Mamadou Coulibaly, migrante calcistico

Enrico Veronese

Quella del calciatore senegalese della Salernitana verso l'Europa non è stata una fuga disperata dalla miseria, ma per seguire il suo sogno: diventare calciatore

I chioschi fronte mare a Ksar es Seghir sono tutti sintonizzati su Radio Tanger Med. Non si ascolta altro, a ogni ora, in questo estremo lembo di Marocco, appendice virtuale verso la Spagna e quindi l’Europa: Mamadou è senegalese, ha 16 anni e come tutti i suoi coetanei Wolof è già fisicamente formato da adulto. Dorme sopra una panchina del porto, da quando è arrivato in pullman da Thiès, nel primo entroterra: non è un “migrante economico”, i suoi stanno discretamente bene laggiù dove li ha lasciati, nel 2015. Ma il giovane ha pagato il biglietto, alla loro insaputa, per rincorrere il suo sogno: giocare a calcio, diventare un professionista e farli stare meglio tutti, con il mito di Bouba Diop e Khalilou Fadiga. Suo padre, insegnante di educazione fisica, aveva previsto per lui un altro futuro, sicuramente universitario: così Mamadou, che di cognome fa Coulibaly, non dice niente a nessuno, parte e spegne il telefono per due mesi. I soldi, spesi tutti per il tragitto in autobus; ancora oggi il ragazzo, che di anni ne ha 22, non ricorda il nome del benefattore che ha coperto per lui l’ultima tratta, quella più pericolosa, nel braccio di mare fino a Tarifa. "Non sapevo nemmeno nuotare – avrà modo di raccontare, agli albori della fama – e se il barcone si fosse capovolto sarei morto annegato".

Il telefono del giovane torna a dare segnali di attività quando ormai ha riparato a Grenoble, nelle fredde Alpi francesi, dove Mamadou Coulibaly ha riparato da una zia: segue viaggio della speranza verso l’Italia del calcio, da una casa di amici a Livorno fino all’Abruzzo, sede di una fiorente comunità del suo Paese. "Per sbaglio, invece che a Pescara sono sceso a Roseto", ammise candidamente il futuro centrocampista: tanto grande la sua ossessione, imperdonabile a casa, che una nuova panchina diventa la sua casa provvisoria. Fatalità, il giaciglio di fortuna si trova di fronte al vecchio stadio Patrizi: i carabinieri se ne accorgono, constatano la sua minore età e lo accompagnano a una casa-famiglia di Montepagano.

Foto LaPresse

Il provino alla Rosetana va bene, quelli per Cesena e Sassuolo invece no: lo prende invece il Pescara, affidandolo alle sapienti attenzioni di Zeman, che nel mediano vede ciò che serve per il suo 4-3-3 d’assalto. Ormai è fatta, Mamadou Coulibaly è un calciatore professionista: può telefonare a casa e dirlo con orgoglio al padre, che due anni prima pensava di averlo perso tra i flutti del Mediterraneo.

 

Da Pescara a Udine, da Carpi a Chiavari e quindi a Trapani, il ragazzo gira tutta l’Italia fino alla promozione in Serie A con la Salernitana: i cronisti ora devono distinguerlo dall’omonimo Lassana, maliano appena arrivato dall’Angers. Più incontrista davanti alla difesa il secondo, esuberante negli spazi il senegalese, che veste un insolito numero 2.

Ieri all’esordio, nello stadio Renato dall’Ara di nuovo popolato di tifosi, il primo gol in serie A di Mamadou Coulibaly al 70° minuto, un morbido e pregevole lob di sinistro all’incrocio dei pali, per il provvisorio vantaggio dei suoi. Come una laurea per papà, raggiunto al telefono alla fine della partita: poco male per la sconfitta, adesso anche Mamadou è sulla mappa che conta. Avesse mai nostalgia della panchina al porto, adesso può accendere Radio Garden e riascoltare le onde di Tanger Med da una casa tutta sua.

Di più su questi argomenti: