Il Tour de France di Cavendish è un salto temporale

Giovanni Battistuzzi

Il velocista inglese vince la sesta tappa della Grande Boucle lì dove tutto iniziò in Francia nel 2008: Châteauroux

A Châteauroux, sotto lo striscione d’arrivo della sesta tappa del Tour de France 2021, il tempo si è fermato, ha fatto un giro su se stesso e si è preso beffa della sua linearità. È tornato indietro sovrapponendosi, riversando negli occhi degli spettatori un’immagine sola in un contesto diverso, con colori diversi, sommando l’allora all’oggi. Stessa linea d’arrivo, stesso attore protagonista, stessa posa. Sfocatura del contorno, perché ininfluente alla descrizione dell’attimo.

Il primo luglio 2021 si è trasformato per un’istante, uno soltanto, nel 9 luglio 2008. Il giorno nel quale tutto cominciò, almeno in terra di Francia, si è trasformato plasticamente in una nuova pagina di un racconto velocissimo che però ancora non sembra arrivato al punto conclusivo. Perché lui, Mark Cavendish, è disponibile e pronto affinché tutto possa continuare almeno in questo Tour de France. Poi si vedrà, ci sarà tempo per pensarci, quello per le solite valutazioni sull’opportunità o meno di dire addio quando ancora non si è obbligati a vedere le spalle degli avversari.

 

Il salto temporale è l’istantanea di un uomo seduto sulla bicicletta, con il busto eretto, la faccia stupita e le mani a stringere il casco invece che il manubrio. La velocità non è percepibile, ma c’è, ed è quella vorticosa delle volate. Un ritorno dell’uguale, non eterno sia chiaro, Cav non è Nietzche, né per baffi né per filosofia. Ma un rincorrersi di spirito dionisiaco e apollineo nel corridore inglese c’è ancora, come c’è da sempre.

Tragico e sublime, imperturbabile ed emotivo, roccioso e fragile, Cavendish in questi anni è stato tutto questo, due (o forse più) persone in una. Ha attraversato il ciclismo come un fulmine, poi ha perso carica elettrica, sembrava pronto a terminarla del tutto, l’ha ritrovata e ha ripreso da dove aveva interrotto. Sempre allo stesso modo, ma ogni volta cambiando, adattandosi a quanto di nuovo trovava in giro.

Lo sprint di oggi non è quello di allora. Nel 2008 fu linea dritta, pura potenza. Quello odierno invece parabola curva, velocità e scaltrezza, un finale rischioso, furbo, ma non scorretto. Un finale di quelli che hanno reso grandi fior fior di velocisti, ma che oggi in epoca di revisionismo culturale, a qualcuno fa storcere il naso e arricciare le labbra. Ce ne faremo una ragione.

 

La conclusione sì: busto eretto, espressione stupita, mani a stringere il caschetto. Il tempo è riapparso e ha riportato Cavendish. Poteva essere altrimenti in un Tour che nelle prime tappe ha riproposto qualcosa della Grande Boucle d’allora.

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