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Il Foglio sportivo

Tutte le fughe del Tour de France

Giovanni Battistuzzi

Jacky Durand ci racconta quanto è difficile attaccare alla Grande Boucle (che inizia oggi)

Ai premi Oscar del 1994 Il fuggitivo, il film diretto da Andrew Davis e interpretato da Harrison Ford, ricevette sette nomination ma una sola statuetta: miglior attore non protagonista per Tommy Lee Jones. All’epoca più di qualcuno sostenne che ne avrebbe meritati di più. Il bilancio fu più che positivo invece: ai fuggitivi nel ciclismo quasi sempre va molto peggio e una fuga portata all’arrivo su sette sarebbe qualcosa di eccezionale.

Nel ciclismo la fuga è gesto spontaneo di pura passione, perché animata dal menefreghismo più totale verso la parsimonia tattica ed energetica. Conta l’intenzione, soprattutto quando è matta e disperata. Quando è ricorsiva si trasforma in una dimensione dello spirito, in un gesto d’amore. Per la bicicletta. Non potrebbe essere altrimenti: le probabilità di arrivare sono basse, si fatica di più. Così sempre e ovunque, ma soprattutto al Tour de France, che parte da Brest per la sua 108esima edizione (qui trovate tutte le tappe e i protagonisti). “Rispetto a Giro o Vuelta, gli attaccanti fanno più fatica a trovare spazio alla Grande Boucle. In Francia ci sono i migliori corridori al mondo, i migliori velocisti e quindi ci sono sempre almeno due o tre squadre a inseguire la fuga. Di fughe ce ne saranno, come sempre, ma è più complicato che altrove raggiungere l’arrivo”, dice al Foglio Sportivo Jacky Durand.

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Il francese di fughe ne ha vissute tante tra il 1989 e il 2002. Spesso gli è andata male, in qualche occasione lo striscione d’arrivo l’ha invece superato per primo. “Eppure mi dicono spesso che il ricordo che hanno di me è quello di un corridore che si è fatto 200 chilometri in testa per essere preso alla flamme rouge (ndr, lo striscione che indica un  chilometro all’arrivo)”. Ci si può far niente. Tra fuggitivi e gruppo la sfida è sempre impari. A volte crudele.

Le fughe di Jacky Durand hanno animato i Tour de France degli anni Novanta, “hanno avuto il merito di appassionare un paese  alla ricerca dell’improbabile”, scrisse Pierre Chany dopo la vittoria di Durand nella decima tappa della Grande Boucle del 1994. 

Erano, quelli, anni di sogni gialli frustati per la Francia. Il 1985, l’anno dell’ultima conquista di Parigi da parte di un francese, continuava ad allontanarsi (e continua ancora: Hinault è ancora l’ultimo a esserci riuscito). Durand ebbe il merito di ricordare ai francesi la bellezza dell’effimero, la meraviglia della fuga. 

Gli ambasciatori sono cambiati, ma il fascino è rimasto intatto. “Al via c’è Thomas De Gendt. Mi auguro possa attaccare. A volte gli riesce, a volte no. Tra i francesi c’è Benoît Cosnefroy: è un attaccante nato, è adatto a tutti i tipi di tappe. Può rompere lo schermo per tre settimane”.

Dalla bici Durand è sceso 19  anni fa, da 16 è a Eurosport. Tra microfono e bici però “è ancora meglio pedalare”, anche se “il modo migliore  per giudicare come sta un ciclista è stare in moto al seguito della corsa. Perché è vero che davanti a un televisore si hanno molte informazioni, ma ci manca il dato più importante: la visione d’insieme con gli avversari”.

A Eurosport ha imparato a interessarsi della classifica generale, cosa che  aveva, per fortuna, sempre ignorato quando correva. Roglic e Pogacar sono i favoriti, “ma attenzione a Uran per il podio. L'ho visto nelle ultime settimane, soprattutto al Delfinato, ed è in grande condizione. Non l'ho mai trovato così sereno, così forte. Sempre se non cade perché questo è un suo problema. Non è il corridore più abile soprattutto in discesa”.

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