Cuore nerazzurro

Giorgio Burreddu

La nuova vita di Natalino, fermato come Eriksen da una cardiomiopatia

Felice Natalino lasciò il calcio nel 2013. Cardiomiopatia aritmogena, la stessa malattia che portò alla morte Piermario Morosini. Natalino giocava nell’Inter, aveva già fatto l’esordio in A e in Champions. Aveva vent’anni. A Christian Eriksen cosa direbbe? “Che ognuno fa quello che vuole, ma se capisce davvero quello che gli è successo, credo ci penserà due volte prima di tornare in campo. La moglie sicuramente gli dirà di smettere”. Per Natalino il calcio era tutto, poi “ho dato priorità ad altre cose”. Ci sono delle affinità tra l’ex enfant prodige nerazzurro e il numero 10 danese, crollato a terra per un arresto cardiaco lo scorso 12 giugno durante la sfida Danimarca-Finlandia a Euro 2020. “Lui era morto e poi è rinato. Io ho avuto un attacco simile al suo, ma ero già in ospedale: l’hanno prevenuto. A lui il cuore si era fermato, e non è detto che debba ripartire. Ho visto le immagini, ho pensato che se l’è vista davvero brutta”.

  

Felice ha 29 anni e si è dovuto costruire una vita nuova, e che però ha sempre a che fare con il calcio. Fa scouting per la sua vecchia squadra, l’Inter, “che è importante quanto la mia famiglia”. Perché, dice ancora Natalino al Foglio, “tu immagina un ragazzo che a vent’anni deve smettere: se non hai una famiglia che ti aiuta è dura, ma se ti trovi abbandonato dal club è ancora più dura. Io nel 2013 ho smesso, nel 2014 ho iniziato a fare l’osservatore. Ringrazierò per sempre Ausilio e gli altri. Non ho sentito l’abbandono”. Famiglia, unione, rispetto: sono le stesse parole che l’Inter ha scelto di usare per Eriksen. Le stesse che il club aveva scelto per Kanu, e anche per Natalino. “L’Inter è la prima al mondo per queste cose. Magari lui vorrà giocare, ma per come stanno le cose dovrà andare via”. 

  

Con un defibrillatore impiantato nel petto Eriksen in Italia non potrà giocare. “Anch’io ce l’ho il defibrillatore. E ve lo assicuro: si sente. E’ come un salvavita, funziona quando serve. Immaginatevi di mettere le dita nella presa elettrica e di prendere una scossa. Solo che io la sento nel petto”. Anche Natalino poteva scegliere di andare a giocare all’estero, gli bastava un certificato, un nulla osta agonistico. “All’inizio ci avevo pensato, ero convinto. La vedevo come una questione burocratica. Ma non avevo avuto una crisi, mi allenavo da solo, normalmente. Poi la situazione è peggiorata. Dopo che rischi la vita non ci pensi nemmeno a giocare, pensi solo che sei stato fortunato”. Dice Felice che la sua storia insegna una cosa: “Che in Italia siamo fortunati. I controlli sono molto, molto fiscali. Questo aiuta a trovare patologie rare come la mia”.

A un certo punto è diventata una specie di abitudine, “ti abitui alla nuova vita, mi sono sposato, mia moglie fa la dottoressa, cerchiamo di passare tanto tempo insieme, quello che prima non potevamo avere: io ero andato via di casa a 15 anni, a più di mille chilometri, lei era andata a studiare fuori”. Ogni anno Felice fa i controlli di routine. “La mia è una malattia degenerativa, più vai sotto stress e più c’è il rischio di peggiorare. Ho preferito fermarmi. Sono stato sfortunato? Sì. Se uno vede le percentuali, rientro in quelle basse. Ma vedo il bicchiere mezzo pieno, perché sono qui, e posso vivere”. Va in giro per la Calabria a vedere i ragazzini, “è una responsabilità: giocare ad alto livello non è facile e dare una possibilità è sempre bello. Sto in un ambiente sano, felice, sereno. Non poteva essere meglio di così. E poi c’è l’Acadamy Lamezia, l’aveva fondata il mio papà. Dopo che ho smesso di giocare abbiamo deciso di fare il salto di qualità. Abbiamo anche l’affiliazione con l’Inter. Per il resto faccio una vita tranquilla, poca attività. Prima del Covid andavo in palestra, qualche partitella con gli amici a calcetto. Ma con il Covid si è fermato tutto”. 

Felice dice che non è colpa del destino, “a quello non ci ho mai pensato, quello bisogna crearselo da soli. Credo molto nella fortuna e nella sfortuna, che sono quelle che poi indirizzano il destino”. Ma certo qualche volta è dura ingoiare la sorte e farsela andare bene. “E come fai a non pensarci? Specialmente in questo periodo che ci sono gli Europei. Vedi quelli che erano i tuoi compagni che sono in campo. Ho giocato con Verratti, eravamo in Nazionale insieme. E poi Jorginho al Verona, Florenzi al Crotone. Un po’ rosico, ma non sono invidioso. Penso: forse potevo esserci anche io. Poi non è detto. Magari sarei finito in Serie C. Ma sono io che mi sento in debito col calcio, sono io che devo restituire qualcosa. Spero che ci si possa dimenticare della mia storia, e che ci si possa ricordare di Felice Natalino per altro”.

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