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I guantoni su Euro 2020. L'Europeo è un torneo che esalta i portieri

Giovanni Battistuzzi

Dal 1960 a oggi le parate degli estremi difensori hanno rubato la scena anche agli attaccanti nella rassegna calcistica europea. Da Yashin a Toldo, storie di numeri 1 paratutto

Che fossero attesi oppure inaspettati, che fossero il meglio che c’era in circolazione, oppure ripieghi d’emergenza dell’ultima ora, non conta. Gli Europei sono una competizione per portieri. Proprio loro, quelli vestiti diversi, ultimi baluardi e primi capri espiatori. Va così da sempre, un portiere senza colpe non è mai esistito: se para ha fatto il suo, se non para allora sono recriminazioni. È così che funziona se decidi di prendere il pallone con le mani quando tutti gli altri lo toccano con i piedi. I meriti se li godono gli attaccanti, quelli che fanno gol. A loro il proscenio. A chi li subisce solo le colpe, pussavia dietro le quinte.

Ogni (quasi) quattro anni però si assiste a un evento speciale, un ribaltamento carnevalesco. Il centro del palco se lo prende chi indossa i guantoni. Va così dalla prima edizione: 1960.

Prima partita della fase finale. La Francia giocava in casa, era la favorita nonostante le assenze di Kopa e Fontaine. Al suo cospetto c’era la Jugoslavia guidata dal talento fragile di Jerković e dalla potenza di Kostić. Finì 4-3 per la Jugo quella semifinale. Le doppiette di Heutte e dell’artista (Jerković) e il bellissimo gol di Galić da fuori area però passarono in secondo piano rispetto ai voli di Milutin Šoškić. Scrisse L’Equipe: “Questa partita poteva valere la conquista di una finale meritata per gioco e occasioni, non ci fossero state le parate impossibili di Šoškić. Può un portiere che subisce tre gol essere il migliore in campo? Sì se quelli evitati sono quattro volte quelli presi”. La Jugoslavia quell’Europeo lo perse. A decidere la finale a favore dell’Unione sovietica fu sempre un portiere, il migliore in campo di quella partita, il migliore di quella edizione, per molti il migliore in assoluto: Lev Yashin. Scrisse sempre L’Equipe: “La bravura del portiere sovietico non ha eguali. Ha il valore di due giocatori in campo. L’Urss gioca in dodici”.

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Quattro anni dopo fu il momento di José Ángel Iribar. L’estremo difensore basco, nonostante l’errore che regalò a Ferenc Bene il pareggio all’Ungheria in semifinale (partita poi vinta ai supplementari), fu il grande protagonista di quell’edizione. Di lui Flórián Albert, Pallone d’oro nel 1967 e numero 9 della compagine magiara, disse: “Rare volte ho visto un portiere determinare una partita a questo modo. L’errore? Capita, il resto lo ha fatto alla perfezione”. E alla perfezione giocò pure la finale. Il premio di miglior giocatore fu dato a Luis Suarez che commentò: “Senza José non sce l’avrammo fatta”.

Dino Zoff, Sepp Maier saranno grandi protagonisti negli anni a venire nelle vittorie delle loro Nazionali. Nessuno mai si stupì però del loro rendimento: erano il meglio che il calcio mondiale offriva tra i pali. A stupire fu Hans van Breukelen, portiere dell’Olanda campione nel 1988. Miglior numero 1 del torneo. Per Rinus Michels, ct degli oranje, miglior giocatore del torneo “al pari di Van Basten: perfetto”. Tre gol subiti, un rigore parato, “almeno una mezza dozzina di gol evitati. Hans vale un attaccante, ma il calcio i portieri li considera poco o nulla”. Parole simili a quelle di Michels le pronunciò Brian Laudrup quando ricevette il premio per calciatore danese dell’anno nel 1992. Parlava di Peter Schmeichel: “La nostra difesa sbandava spesso, ma noi giocavamo tranquilli perché avevamo un’assicurazione sulla vita: Peter. Se abbiamo vinto gran merito è stato suo”.

A volte per alzare la coppa le parate non bastano. Ne sanno qualcosa Toni Schumacher e Manuel Bento. Prima partita dei gironi dell’Europeo 1984, Germania Ovest-Portogallo 0-0. I due estremi difensori respingono anche l’impossibile. Il tedesco farà lo stesso anche contro Romania e Spagna, non riuscendo però a evitare l’eliminazione dei tedeschi ai gironi. Bento continuerà anche in semifinale contro la Francia. A metà del secondo tempo, dopo quattro interventi prodigiosi, Platini in preda alla rabbia tirò un calcio al palo. L’Equipe racchiuse in una parola la partita del lusitano: “Insurmontable”.

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Insormontabile come fu Francesco Toldo nel 2000 contro l’Olanda. L’Italia, rimasta in 10 dopo 34 minuti, venne schiacciata dagli olandesi. Poteva finire tanto a poco, ma il portiere veneto le prese tutte. Parò un rigore nei tempi regolamentari, ne respinse altri due dopo i supplementari, consegnò agli azzurri la finale e a se stesso il premio di miglior portiere.

La coppa l’alzò la Francia, ma quella semifinale non è stata ancora dimenticata.

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