Learco Guerra (al centro) in maglia rosa (foto LaPresse)

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Non ci si separa dalla maglia rosa

Marco Pastonesi

Nella mostra a San Benedetto Po dedicata a Learco Guerra a novant’anni dalla nascita del simbolo del primato al Giro d’Italia, la casacca originale c’è soltanto con una copia. Luca Battesini racconta come ha trasformato una cascina in un museo e una collezione in una mostra

La maglia rosa di Learco Guerrala prima, il 10 maggio 1931, la Milano-Mantova di 206 chilometri – è custodita da Learco Guerra. Learco il nipote: il figlio del figlio Gino. La tiene a casa. Se ne separa a malincuore. Più i no che i sì. Tanto che nella mostra a San Benedetto Po dedicata alla Locomotiva Umana a novant’anni dalla nascita del simbolo del primato al Giro d’Italia, la maglia rosa originale c’è soltanto con una copia. Ma c’è molto altro. Autentico, genuino, vero. A cominciare dalla passione. Stesso sangue, stessa terra, stesse strade. Da San Nicolò Po, luogo di nascita di Guerra, a San Benedetto Po, sede della mostra, c’è solo il Po di mezzo: quindici i chilometri di strada, cinque in linea d’aria.

 

 

Luca Battesini, 56 anni, figlio di un meccanico di biciclette (“Ma bici per poveri, che aggiustava, rattoppava, trapiantava, resuscitava”), studi stentati (“Scuole professionali, ma mi hanno visto poco”), lattoniere industriale (“Ma prima ho fatto di tutto, dall’idraulico all’imbianchino”), è il Guggenheim di San Benedetto Po. Ha trasformato una cascina in un museo e una collezione in una mostra. Biciclette, trovate e ritrovate, acquistate e restaurate, risalendo – per quanto possibile - dai proprietari fino ai corridori, un albero genealogico complicato, non certificato, quindi decifrato attraverso ricerche letterarie e indagini fotografiche, tradizioni orali ed eredità agonistiche. Una Legnano di Gino Bartali, una Bianchi di Fausto Coppi, e poi Umberto Dei d’epoca, Maino commoventi, Ganna arrugginite e Colnago doc. E ancora maglie, targhe, cartelli, borracce, pompe, scarpe. Un’isola del tesoro ciclistica, un viaggio nella storia e nella geografia a pedali, un angolo sospeso nel tempo. Non c’è l’enciclopedia del ciclismo, ma una selezione di capolavori.

 

 

“Un’avventura – racconta Battesini, soltanto omonimo (nonostante una vaga somiglianza) con Fabio, il gregario mantovano di Guerra – cominciata per scherzo e continuata per amore, un inseguimento a biciclette del periodo eroico, dalla fine degli anni Venti all’inizio degli anni Trenta, e poi sconfinata fino agli anni Cinquanta, sempre cercando documenti da cui ricavare la loro storia e le loro vite, ‘cancelli’ restituiti al loro antico splendore, e dettagli di cui mi sono innamorato, come i cerchi in legno o gli oliatori delle catene”. La collezione è privata, la mostra (al Loghino Alberigi Caselle, via Ronchetti 1) è aperta al pubblico: per visitarla, è necessario prenotarsi (tel. 3388369626, ingresso libero, fino al 30 maggio).

 

  

Learco Guerra il campione è qui esplorato anche attraverso alcune biciclette prestate per la circostanza da Learco Guerra il nipote. C’è la bici con cui la Locomotiva Umana conquistò il titolo mondiale del 1931, una sfacchinata di 172 chilometri a cronometro. C’è un tandem Guerra, molto più recente, simbolo di quello che Learco usava per andare a lavorare come muratore. Ci sono incorniciate le prime pagine della “Gazzetta dello Sport” con quei titoli chilometrici in cui annunciava le imprese del campione. Ci sono anche le maglie delle squadre (Guerra, Faema, Emi, manca l’ultima, quella della Vov, ma prima o poi arriverà) dirette da Learco, che aveva ottenuto la fiducia dei fuoriclasse stranieri (da Hugo Koblet a Charly Gaul, da Rik Van Looy a Federico Bahamontes).

 

E qui si respira la leggenda del formidabile passista e cronoman mantovano. Il nome mitologico (pare che la proposta fu di una vicina di casa che, per convincere la mamma Pasquina, abbia detto: “E’ un bel nome. Ce l’ha anche il fabbro”), gli studi stentati (quarta elementare, la quinta in paese non esisteva), l’esordio calcistico (ala sinistra nell’Aurora, la squadra di San Nicolò Po), la conversione ciclistica (al console dei Bersaglieri del Mincio che gli domandava perché volesse cominciare a correre a venticinque anni, rispose: “Cosa vuole: non ho potuto farlo prima”), la fatalità decisiva (quando, nell’estate del 1928, restò disoccupato e si impegnò nel ciclismo), l’epopea delle corse su strada e su pista (a Carpi, nel campionato italiano di mezzofondo 1929, pronti-via Guerra partì “come un ladro inseguito dai carabinieri” e stravinse), fino alla sfida mancata con Tazio Nuvolari (trenta chiometri in auto e dieci in bici, ma Tazio voleva allungare la frazione in auto e accorciare quella in bici, Learco allungare la frazione in bici e accorciare quella in auto).

  


  

Al Giro d’Italia del 1931 debuttò la maglia rosa come simbolo del primato nella classifica generale. Novant’anni dopo, per celebrarla, raccontiamo brevi storie legate a quei giorni da numeri 1. Qui trovate tutte le puntate.

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