Giro d'Italia 2021. Chiedi alla polvere

Giovanni Battistuzzi

Tra le strade bianche del senese, le colline si trasformano in montagne, almeno per distacchi. Egan Bernal stacca tutti e Remco Evenepoel cede oltre due minuti Vince Mauro Schmid davanti ad Alessandro Covi

Alla polvere Mauro Schmid aveva iniziato a chiedere che corridore potesse diventare già da qualche anno. L’aveva incontrata subito, da giovane, poi se ne era innamorato al Tortour Cyclocross, una delle prime gare di ciclocross a tappe, in pratica un vagare per sterrati lungo tre giorni, di cui solo il primo da correre in circuito. Era il febbraio del 2017 e lo svizzero, all’epoca diciottenne fece un gran bene. “Una cosa straordinaria, mi sono mai divertito tanto”, commentò.

 

La polvere svizzera è però meno volatile e ben più viscosa, mica ha tempo di seccarsi lassù d’inverno. Poco male, ha risposto lo stesso, ha indicato la via al corridore elvetico, l’ha condotto verso quella senese, ben più svolazzante, soprattutto di maggio e senza la pioggia.

 

Tra Perugia e Montalcino, nel corso della undicesima tappa del Giro d’Italia 2021, Mauro Schmid ha seguito il consiglio, ha conquistato la fuga, ha attraversato la polvere italiana e l’ha trovata piacevole. Talmente piacevole che è uscito da lei per primo, con il solo Alessandro Covi alla sua ruota. Ha fatto lo stesso sotto lo striscione d’arrivo. Poteva mica deluderla.

   

Foto LaPresse  
    

Alla polvere aveva chiesto qualcosa anche Alessandro Covi. Aveva chiesto di essergli alleata, l’aveva provata a sedurre mentre provava a distanziare gli altri dieci compagni d’avventura, voleva un tête-à-tête con lei. Prima Simon Guglielmi, poi Dries De Bondt, infine Mauro Schmid non glielo ha concesso. La gelosia è una brutta bestia. E così è toccato alla polvere scegliere. E ha preferito lo svizzero, gelosa delle scorribande invernali nel ciclocross del corridore italiano, colpevole di aver preferito in gioventù la sua variante più appiccicosa: il fango.

 

Egan Bernal invece non ha chiesto niente, l’ha ignorata e basta. Aveva niente da chiederle del resto. Su di essa ha iniziato la rivoluzione. C’hanno pensato i suoi scudieri dal primo metro di strada sterrata. Filippo Ganna l’ha imboccato a velocità sostenuta, poi ha continuato ad accelerare. Il gruppo, che sino ad allora aveva proceduto stancamente del tutto disinteressato alle sorti degli avanguardisti, si è trasformato in polvere, la sua forma si è volatilizzata, ha iniziato a disperdersi senza nessun ordine per le colline senesi. Dan Martin, Davide Formolo, Louis Vervaeke, sino a questa mattina protagonisti di un buon Giro d’Italia, si sono ritrovati spiazzati e perduti nella tempesta.

 

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Una bufera che ha investito anche Remco Evenepoel, incerto e precario alla guida della sua bicicletta quando le ruote hanno incrociato terra e sassolini. Il belga ha pedalato tra rabbia, delusione e scoramento, non è affondato soltanto perché João Almeida gli ha fatto da guida, ha saputo utilizzare la bussola della ragione per trovare la giusta direzione.

 

Una guida alpina. E non perché alpino ormai è diventato aggettivo utilizzabile per qualsiasi arco montuoso europeo (esistono mica le guide appenniniche o pirenaiche, figuriamoci quelle dei Vogsi o dei Carpazi o della Cordigliera cantabrica. Perché nel senese, dove la montagna è un cono all’orizzonte (quello del monte Amiata), le Alpi si sono riflesse nei distacchi. Montani, pure montagnardi.

 

Egan Bernal verso l’ultimo Gran premio della montagna di giornata, il passo del Lume spento, ha seminato anche chi sino a quel momento era riuscito a rimanergli accanto. Aleksandr Vlasov ha terminato la tappa 23 secondi dopo il colombiano; Damiano Caruso, Simon Yates e Tobias Foss hanno perso 25 secondi; Hugh Carthy 32”; Giulio Ciccone 1’47”; Marc Soler e Vincenzo Nibali 1’58”; Daniel Martinez 2’02”; Remco Evenepoel e Roman Bardet 2’08”; Attila Valter 3’07”; Davide Formolo e Dan Martin 6’14”; Jefferson Cepeda 15’50”; Gino Mäder, ultimo, 23’18”. Non Alpi, ma quasi. Un tappone appenninico.

 

È andata come doveva andare. O almeno come avevano immagina quelli della Ineos. Sapevano benissimo nella squadra di Bernal che oggi si poteva fare selezione. Anzi, che si doveva rendere vita dura a chi poteva avere qualche problema lontano dall’asfalto. E questo qualcuno è Remco Evenepoel. Il belga ha iniziato il Giro alla grande, ha dimostrato di andare in salita al livello della maglia rosa (a Campo Felice ci ha messo lo stesso tempo di Bernal per completare i 1.500 metri finali, non fosse partito nelle retrovie del gruppo sarebbe arrivato con il colombiano). Per questo serviva ingigantire il suo punto debole, ossia la sua abilità di guida della bicicletta.

 

È da cinque anni che Evenepoel pedala con regolarità, prima inseguiva un pallone, mica scorrazzava su e giù per colline e montagne, con ruote fini e ruote grasse come gran parte dei suoi colleghi. Ha patito l’inesperienza. Aveva provato a chiedere alla polvere di donargli un po’ di sagacia fuoristradistica nella sua ricognizione pre-Giro tra gli sterri toscani. La polvere se ne è fregata. Si può mica imparare in qualche ora, ciò che i ragazzini imparano in anni sbagliando, cadendo, sfidando le leggi dell’equilibrio. La polvere forse è gelosa, ma è equa di giudizio.