Tutti i membri del team Gresini hanno ricordato la morte di Fausto prima di correre in Qatar

Il Foglio sportivo

Il Motomondiale dell'incertezza nel nome di Fausto Gresini

Giorgio Burreddu

Carlo Merlini, per oltre vent'anni braccio destro del team manager della Gresini Racing, racconta quel filo rosso che attraversa i paddock: “Ci manca tanto. Questo Mondiale è per lui, è nel suo nome"

Adesso che il trambusto del doppio weekend di gare in Qatar è finito, Carlo Merlini prova a godersi un po’ di quiete. “Vado a rivedermi le foto sullo smartphone, è l’album dei ricordi portatile”. Salta fuori subito il terzo posto di Fabio Di Giannantonio in Moto2 nel primo dei due round sulla pista di Losail. Solo Merlini sa la fatica che è costato quel piazzamento, lui che da vent’anni condivideva tutto con Fausto Gresini: braccio destro, aiuto, spalla. Più di tutto un amico. E adesso che il team manager, ispiratore e cantore della Gresini Racing, se l’è portato via il Covid, anche Merlini ha bisogno di prendere fiato. “Per me e per tutti gli altri ragazzi dell’azienda questa è una stagione particolare, strana, una stagione emotivamente dura e con cui stiamo già facendo i conti”. In appena due gare questo pazzo motomondiale ha già detto diverse cose, e non tutte hanno necessariamente a che fare con la storia che vi vogliamo raccontare. In MotoGP, per esempio, la Ducati ufficiale ci ha fatto vedere di essere velocissima ma non abbastanza da prendersi un primo posto con Bagnaia o Miller. La Yamaha ha mostrato due facce: quella cinica e vincente di Quartararo e Vinales (un primo posto a testa), e l’altra con Morbidelli e Valentino Rossi alla ricerca delle ragioni di così tanta lentezza. In attesa di Marc Marquez naturalmente, che (salvo sorprese) il prossimo 18 aprile sarà al via sulla pista di Portimao, in Portogallo.  In Moto2 e Moto3, poi, i duelli tra i pilotini sono già uno show. Come un anno fa, anche questo sarà il Mondiale delle incertezze.

 

 

Ma oltre le singole storie e i piloti, c’è un lungo filo rosso che attraversa tutti i paddock. È il nome di Fausto Gresini. Coinvolto nei tre team – in MotoGP assieme all’Aprilia più i due team delle altre classi –, questo campionato del mondo non può che essere dedicato a lui. “Ci manca tanto. Questo Mondiale è per lui, è nel suo nome. I piloti hanno messo l’adesivo con il suo nome sul cupolino. Hanno tolto il loro e messo il suo, con la stessa grafica di quando correva. Nel paddock abbiamo sistemato una gigantografia. Fausto è dappertutto, fuori e dentro di noi. Prima alzavi lo sguardo e lui era lì, adesso non c’è. La prima domenica, quella dell’esordio, è stato un colpo al cuore il minuto di silenzio prima del via”. Merlini si era messo nel suo angolo di paddock, l’album dei suoi ricordi ce l’aveva dentro la testa. Il dirigente della Gresini Racing racconta al Foglio Sportivo che “il fatto di dover affrontare tutto senza di lui, dai dettagli alla gara, è strano. Difficile, complicato, sicuramente diverso. Il podio di Diggia è stato incredibile, emotivamente fortissimo per tutti. E io credo che Fabio quest’anno sia pronto per vincere”. 

 

Diggia. Non poteva essere che lui la stella cometa del team. Due anni fa, quando Gresini e Fabio non trovarono il modo di accordarsi per andare avanti, tra i due si era aperto una specie di strappo. Certe cose nella vita le devi ricucire, non puoi fare finta di niente. “Quella tra Fausto e Diggia è una bellissima storia di affetto, c’era stata qualche incomprensione, qualcosa per cui non ci si era capiti bene, per questo c’era stato un allontanamento così brusco. Appena si è presentata l’opportunità di incrociarsi di nuovo, lì sono riaffiorati i sentimenti veri”. Gresini aveva voluto Di Giannantonio da ragazzino, ne parlava con ammirazione, lo ha sempre visto come una speranza per il futuro italiano delle moto, lo vedeva proiettato in una dimensione vincente. “Lo aveva preso sotto la sua ala, Diggia faceva la rookie cup e si vedeva che era forte. Più di una scommessa”. La dedica di Fabio a Gresini dopo il terzo posto in Qatar, con  lacrime e urla dal podio, non è stato solo un momento di affetto puro, incondizionato, ma anche la conferma di un rapporto di stima reciproco. E non c’è solo Di Giannantonio. “Nel complesso tutta la parte sportiva è stata soddisfacente in queste due gare: in MotoGP Aleix Espargarò è arrivato a cinque secondi dal primo, non era mai successo di stare così vicini alla vetta. Anche questo è un segno di crescita. Pure in Moto3 siamo rimasti in lotta fino alla fine in tutte e due le gare, anche se non è andata come speravamo. Nel complesso siamo soddisfatti, sarà un Mondiale complicato in tutte e tre le categorie perché la concorrenza è ampia, ci sono squadre forti. Naturalmente noi vogliamo di più e vogliamo farlo nel nome di Fausto”.

 

 

Erano vent’anni che Gresini lavorava dentro il cuore delle moto, nel paddock come team principal, e gli anni raddoppiano se contiamo anche quelli da pilota. “Era uno che pensava al futuro, è sempre stato un visionario. Fausto si è sempre lanciato con i pensieri e le idee oltre il presente. Ezpeleta, il ceo della Dorna, me lo ha raccontato proprio qualche giorno fa: Fausto lo contattava, andava da lui, ‘facciamo così e così’ gli diceva. Un attivatore, una fonte di nuove idee: ecco chi era Fausto. Credeva nella nascita e nello sviluppo delle nuove categorie. Quando è nata la Moto2 l’abbiamo fatta subito, e abbiamo vinto. E così è successo con la MotoE. La Moto3 l’abbiamo fatta un anno più tardi, ma solo perché volevamo un progetto come si deve. Il punto è che Fausto voleva sempre abbracciare nuove sfide”.

 

Nei giorni dolorosi del ricovero, Gresini videochiamava Carlo. Erano i momenti di tranquillità, quelli in cui il Covid non stringeva la morsa. “Aveva alti e bassi, di tanto in tanto sembrava stare meglio anche se non è mai uscito dalla terapia intensiva. Facevamo queste videochiamate, parlavamo di lavoro, della MotoGP, del 2022, di futuro, di come si poteva fare questo o quello. Condividevamo pensieri. Per la volontà di portare avanti il lavoro, la sua testa era lì”. Dopo il ricovero di fine dicembre, pochi giorni prima di Natale, Merlini ha dovuto prendere in mano il timone dell’azienda. La Gresini Racing è formata da sessanta persone, dietro ci sono competenze, valori, “siamo davvero una grande famiglia: vi assicuro che non è retorica”. Dopo la morte di Fausto in molti si erano chiesti: e adesso? “La risposta è arrivata dalla sua famiglia. Fausto ha quattro figli, i due più grandi, Lorenzo e Luca, avevano già iniziato a frequentare un po’ la squadra. Quello era il suo sogno: portarli dentro. Luca lo scorso anno ha corso nel Civ, Lorenzo è più operativo. Sono ragazzi fantastici, di una modestia rara, sono loro i primi a dire che hanno un mestiere da imparare. E noi, per tanti motivi, anche per una questione di affetto, li vogliamo accompagnare in questo percorso nell’azienda creata dal loro papà”. Dal Gp di Jerez (2 maggio) salperanno a bordo del team tutti e due. “Stiamo cercando di accelerare, è bello che in azienda ci siano dei Gresini integrati e operativi”.

 

Carlo e Fausto cominciarono a collaborare nel 2001, “io lavoravo in un’azienda di eventi e marketing, Gresini arrivò come nostro cliente e ci fu la possibilità di conoscerlo. Avevo voglia di entrare più dentro le cose, le corse, lo sport, e con lui c’è stata questa opportunità”. La prima gara fu in Giappone con il progetto della 250cc, “finì con una vittoria, e così anche il Mondiale”. Da lì in avanti Fausto e Carlo diventarono più che colleghi, amici. “Con le famiglie si è creato un rapporto stretto, Fausto è stato il mio testimone di nozze. Anche il primo viaggio di questa nuova stagione è stato difficile: di solito mi veniva a prendere, andavamo insieme in aeroporto, stavamo sempre insieme. Ho sentito un vuoto incolmabile”. Queste due gare in Qatar hanno già prodotto degli effetti, Carlo ha già fatto i conti con la parte di sé che conosce meno, quella irrazionale. “Fausto si lanciava senza gli schemi dell’azienda convenzionale, senza slide preparate a tavolino. Io non sono così. Questo suo slancio, quando sentiva di dover fare le cose, serviva a tutti, è una qualità che non mi sono mai permesso di discutere o limitare. Sicuramente per me è un anno importante, un anno in cui professionalmente devo dimostrare qualcosa in più. Ma il mio non è un dovere lavorativo, professionale e basta, è anche un dovere morale. Penso sempre a questa cosa: nella tua carriera scegli un capo, non necessariamente un lavoro. È lui che può condurti in un percorso, io avevo scelto Fausto”.

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