L’Alfa Romeo di Antonio Giovinazzi durante le prove libere di venerdì  in Bahrein, prima tappa del Mondiale di Formula 1 (foto LaPresse)  

Quanto è italiana la Formula 1 che comincia oggi in Bahrein

Umberto Zapelloni

Da Domenicali alla Ferrari passando per  freni,  gomme, luci e bollicine. Guida ai GP made in Italy

Negli anni Ottanta e Novanta, quando in Formula 1 comandavano gli inglesi, in pista ci sono stati anche più di 10 piloti italiani in contemporanea. Oggi che comanda un italiano nato a Imola e residente a Monza come Stefano Domenicali, al volante c’è soltanto Antonio Giovinazzi, alla sua terza stagione con l’Alfa Romeo Sauber. Oltre alla Ferrari, che l’anno scorso ha festeggiato il suo millesimo Gran premio, però c’è molto di più. Piloti a parte, il made in Italy sta tornando di moda. Senza Italia non ci sarebbero le gomme, non si sarebbero i freni di 8 scuderie su 10, non ci sarebbero neppure le bollicine per brindare a fine gara. L’Italia in Formula 1 è come il ragazzino che porta il pallone all’oratorio: senza non si potrebbe giocare. Stefano Domenicali sarà anche di parte, considerati i suoi trascorsi a Maranello, ma ripete sempre che “la Formula 1 non può esistere senza la Ferrari” anche se poi aggiunge pure che “la stessa Ferrari non potrebbe esistere senza gareggiare in Formula 1”. Il valore del campionato si moltiplica se in pista c’è una macchina rossa. Può anche non vincere come capita ormai dal 2007, ma è l’unica ad avere tifosi in tutto il mondo costringendo gli altri team a fare shopping di follower sui social per reggere il ritmo. Lo si vede dall’interazione che la Scuderia Ferrari raggiunge su Twitter e Instagram dove ultimamente si è data parecchio da fare.

 

Le gomme le porta la Pirelli che ha appena rinnovato il suo contratto in esclusiva per un anno in più e in Bahrain festeggia i 400 gran premi. Le bollicine per la prima volta nella storia non le portano i signori dello champagne, ma quelli del Trento Doc. Si chiamano Ferrari anche loro, fanno vino dal 1902, ma non c’entrano nulla con gli omonimi signori di Maranello. Oddio, oltre al nome hanno un altro punto in comune: rappresentano l’eccellenza italiana. “Quando abbiamo annunciato l’accordo triennale – racconta Matteo Lunelli, presidente e amministratore delegato delle Cantine Ferrari – siamo stato sommersi di messaggi di complimenti anche dai nostri avversari. Erano tutti orgogliosi del successo del vino italiano. Stiamo attraversando un momento storico in cui la percezione per le bollicine italiane sta cambiando. Gli esperti hanno capito che l’eccellenza delle bollicine può anche essere prodotta in zone che non sono lo Champagne, così come i rossi di qualità non nascono solo in Borgogna…”. Una vittoria del made in Italy. Come quella firmata Brembo, azienda che sta per festeggiare i 60 anni e che è in Formula 1 dagli anni Settanta. Se otto scuderie su dieci scelgono i suoi prodotti un motivo ci sarà. Lo stesso che ha portato tutte le scuderie della MotoGp a usare gli impianti frenanti Brembo. Un monopolio che dura da sei anni, conquistato con i risultati, non con un contratto in esclusiva. Emilio Bombassei, il fondatore diceva: “Le cose semplici le sanno fare tutti, le cose difficili le sanno fare in pochi. Noi dobbiamo fare quelle difficili”. La piccola officina della bergamasca è diventata un’azienda leader di mercato nella produzione di impianti frenanti per le due e per le quattro ruote con oltre 11.000 collaboratori, 25 stabilimenti e uffici commerciali in tutto il mondo. Partire dall’Italia, salire su una Formula 1 e conquistare il mondo. Una via indicata da un certo Enzo Ferrari. Adesso ci stanno provando Pirelli, Brembo, ma anche Sparco, che nel 1978 inventò la prima tuta ignifuga in grado di resistere al fuoco per 11 secondi o la genovese OMP di Ronco Scrivia che ha vestito per anni Michael Schumacher e ha recentemente comprato un marchio storico come i caschi Bell, che l’anno scorso ha fornito 11 dei 20 piloti. L’Italia accende anche le luci: l’impianto di Singapore è della forlivese DZ engineering che è specializzata nelle illuminazioni sportive da anni.  Anche se ormai di proprietà giapponese la Marelli (una volta Magneti & Marelli) ha il suo cuore pulsante in Italia e da qui arriva la telemetria fornita a tutti i team e pure quella telecamerina ultra sofisticata posizionata sull’Halo che inquadra il volto dei piloti. Spettacolare, ma anche utilissima per verificare lo stato dei piloti in caso di incidente. L’Italia segue i piloti con i medici di Formula Medicine, l’organizzazione del dottor Ceccarelli che da Viareggio conquista il mondo. Ma può anche curare i muscoli come fa da anni Fabrizio Borra, storico fisioterapista di Fernando Alonso che di italiano ha anche la fidanzata, Linda Morselli.
Ci sono italiani all’Alpha Tauri che si chiama così, è di proprietà della Red Bull, ma è made in Faenza, là dove la creò Giancarlo Minardi. Ma ci sono italiani anche tra gli ingegneri della Mercedes (Lorenzo Sassi) là dove una volta regnava quel genio di Aldo Costa (oggi alla Dallara a garantire il futuro di un’azienda gioiello), della McLaren (Andrea Stella e Andrea Damiani), Alfa Romeo Sauber (Luca Furbatto, ma anche l’ex ferrarista Simone Resta e Lucia Conconi ex Renault all’aerodinamica). Sono i più famosi. Ma ce ne sono altri. Anche tra i meccanici andati a cercare fortuna nei team inglesi. D’altra parte oggi la Renault, l’orgoglio di Francia, è gestito da due italiani. Luca De Meo, enfant prodige di Marchionne, l’uomo che ha lanciato la nuova 500, è il numero uno della Regié. Il Ceo. Come se alla fine comandasse un portoghese… ah dite che è così… “Siamo sempre stati presenti in Formula 1 per 44 anni, come motoristi o come team – ha detto nei giorni scorsi – Sono un uomo che proviene dal mondo dell’auto e quanto sono arrivato in Renault mi sono detto che non sarei stato io a interrompere questa storia della Casa. Non ho intenzione di essere quel tipo di persona. Quindi, finché sarò qui, chi si occupa della Formula 1 non dovrà preoccuparsi. Dovrà solo lavorare per creare un modello di business redditizio, per vincere le gare e per avere un buon ritorno di immagine per la società”. E proprio De Meo che, abbandonato dalla Fiat, si è costruito la carriera in Germania e Spagna ha voluto alla guida della scuderia che si chiama Alpine e ha ingaggiato Fernando Alonso, un altro italiano che è al debutto in Formula 1: Davide Brivio, l’uomo che ha fatto vincere il mondiale di MotoGp prima a Valentino Rossi e poi alla Suzuki. E’ il racing director del team. “Abbiamo deciso di separare le attività portate avanti nella sede di Enstone da quelle in pista – spiega – con un calendario di 23 Gran Premi l’organizzazione diventa davvero fondamentale, non bisogna sottovalutare nulla, quindi Marcin Budkowski sarà il responsabile della struttura di Enstone, proseguendo un lavoro di organizzazione che ha già iniziato, mentre io guiderò le attività che vengono svolte in pista. Il mio lavoro è quello di fare in modo che non ci siano imprevisti sui campi di gara, che tutti siano nelle condizioni migliori per lavorare, piloti inclusi, e se c’è un problema sono io la figura di riferimento”. D’altra parte i francesi hanno vinto solo quando a comandarli c’era un altro italiano: Flavio Briatore. Forse hanno bisogno della creatività italiana per farcela. Proprio come capitato con i giapponesi della Suzuki. Senza Brivio sarebbero ancora lì a cercare di mettere in moto la loro impresa. Anche gli italiani, a dire il vero, hanno avuto bisogno di un francese come Jean Todt per veder vincere la Ferrari. Viene quasi da pensare che avessero ragione i latini, nemo propheta in patria. Ma questo è un altro discorso. Per restare sul made in Italy vale la pena ricordare che l’anno scorso l’Italia è stato il primo paese a ospitare tre Gran premi in tre autodromi diversi in una stagione. Colpa della pandemia, è vero, ma merito anche della passione per i motori che poi si traduce in organizzazione di eventi.

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