27 maggio 2019, partita del cuore tra la Nazionale Cantanti e i Campioni per la Ricerca. In campo anche Andrea Agnelli (a sinistra) e John Elkann (foto LaPresse)  

il foglio sportivo

Cosa succede alla Juventus? Tutti gli azzardi del presidente

Giuseppe Pastore

Bianconeri da far ripartire, diritti tv, Champions League allargata, Superlega. Le partite a rischio di Andrea Agnelli  

Avete presente quella scena memorabile de Le ali della libertà in cui improvvisamente il direttore del penitenziario di Shawshank scopre che, ohibò!, c’è un buco nel muro della cella? Soltanto, al posto di quelli di Rita Hayworth e Raquel Welch, immaginatevelo coperto dal poster di Cristiano Ronaldo. Andrea Agnelli avrebbe voluto festeggiare il centesimo compleanno di suo zio con un buon bicchiere di porto, e invece – vabbè. Dopo due anni e mezzo di silenzio complice e un po’ conigliesco sulle storture strutturali di una Juve che si gonfiava come la rana di Fedro, i problemi sono esplosi tutti insieme e non risparmiano nessuna delle sfere di competenza del numero uno della Juventus. E se è ingeneroso prendersela con un presidente da nove scudetti di fila, è altrettanto giusto l’esercizio di onestà verso un’insostenibile hybris che affonda le radici già nell’estate di tre anni fa: la goffa scansata di Ronaldo sulla punizione di Oliveira ha solamente squarciato il velo.

 

La squadra

Letta su Twitter: la Juventus ha più correnti del Partito Democratico. Fa ridere perché è vero: il gruppo dei senatori sembra ormai abbaiare alla luna, auto-conservandosi con dichiarazioni d’intenti non più supportate dai fatti (l’ultima di Bonucci prima di Juve-Porto: dobbiamo stare calmi, si può segnare anche al 90’. E infatti, 0-1 dopo venti minuti). Dopo la disfatta hanno tutti disertato la zona mista, riservata a Cuadrado (il migliore della stagione) e a Chiesa e De Ligt, tra le poche certezze future. L’eliminazione dall’Europa ancora prima che sia primavera ha suggerito prudenza al presidente, ma intanto Pirlo si è auto-confermato per il 2021-22 e la fiducia non sembra pienamente giustificata dai fatti: in campionato è al momento terzo e in Europa non ha dimostrato granché anche tatticamente, incaponendosi in 135 minuti di Juve-Porto sull’unico piano gara di inondare l’area di cross tutti regolarmente spazzati di testa da Pepe e soci. Quando viene interpellato sull’argomento, le sue risposte sono spesso evasive o insoddisfacenti, denotando anche un’immaturità comunicativa che oggi non ci si può più permettere da un cosiddetto top manager. Pirlo è il cavallo giusto o semplicemente una scelta al risparmio gradita allo spogliatoio, senza la preparazione per mettere in pratica il suo calcio ottimista, sul filo della presunzione, come quello dichiarato  a inizio stagione? È giusto dare continuità a un progetto, qualunque sia il progetto? Le contraddizioni di cui è lastricato il triennio di Ronaldo impongono dubbi sul fiuto di Agnelli e sulla competenza tecnica in base alla quale ha bypassato a suo tempo i dubbi di Marotta sull’ingaggio del portoghese. Al tramonto della terza stagione rimane un’evidente contraddizione in termini: puntare su un gioco più accattivante e sul ringiovanimento della rosa e poi aggrapparsi al 36enne Ronaldo, probabilmente il calciatore più individualista e accentratore della storia.

 

La società

Agnelli non è un padrone alla De Laurentiis ed è probabile che la cassaforte di famiglia gli chieda conto di un fatturato in discesa anche per colpa della pandemia, di un monte ingaggi in costante crescita, di un aumento di capitale da 300 milioni servito soprattutto a tamponare le perdite da Covid. A meno di non rinunciare a qualche pezzo pregiato, è probabile che l’ammanco possa essere colmato a botte di plusvalenze estive sempre più estreme, inaugurate a gennaio dal sintomatico caso Rovella, comprato a 18 milioni dal Genoa tre giorni prima di poterlo prendere a zero solo per ricevere altrettanto danaro per Portanova e Petrelli. I giornali di casa non sono rimasti in silenzio: ha fatto un certo effetto l’attacco del pezzo sulla Stampa che parlava apertamente di “disastro economico”. La famiglia imporrà un cambio di passo anche a livello dirigenziale? Il maggior indiziato sembra Fabio Paratici che, nonostante qualche buona intuizione alla McKennie, già a settembre con la faccenda-Suarez aveva dimostrato di brancolare nel buio (e anche qui la stampa “amica” non si è fatta pregare nel sottolinearne gli errori). Di Nedved, semplicemente, si continua a non capire il ruolo: quest’anno si è fatto notare soprattutto per scenate contro arbitri e cartelloni UEFA che a lui e Paratici sono spesso costate fior di multe.

 

L’Europa

L’attivismo di Agnelli si è concentrato soprattutto sul fronte ECA, l’associazione da lui presieduta che, in nome di futuri guadagni a dieci zeri, spinge forte sul pedale delle riforme in chiave SuperChampions o addirittura Superlega (quest’ultima, però, è definita da molti esperti non più che uno specchietto per le allodole). Le riforme danneggerebbero la Premier League e perciò non piacciono agli inglesi, che infatti dopo il Porto si sono scatenati: l’Independent, lontano dalle cautele italiane, ha definito la Juve “un casino disfunzionale, talmente incapace di vincere la Champions da voler cambiarne le regole”, e ne ha dipinto il presidente come l’ariete da sfondamento dei club che tramano nell’ombra. Qualcuno si spinge a inquadrare in quest’ottica anche il clamoroso voltafaccia a Sky, alleata per anni, in sede di diritti tv: e se poi DAZN andasse gambe all’aria tanto meglio, bofonchiano alcuni, sarebbe un pretesto in più per mollare i Lotito al loro destino e andarsene in Europa. Più altre idee che sembrano meri ballon d’essai, come la proposta di un mercato “interno” alla SuperChampions fatto solo di free agent o i pacchetti di abbonamento relativi agli ultimi 15 minuti delle partite per attirare i giovani, che non hanno più la soglia d’attenzione per reggere 90 minuti interi. Ma anche qui: quanto gli conviene tutto questo spendersi politicamente in prima linea se poi la sua squadra esce per tre anni di fila contro le squadre numero 15, 18 e 19 del ranking UEFA, espressione di paesi che non appartengono ai top 4 campionati europei e che sarebbero fortemente ridimensionati dal nuovo progetto? In un panorama ruotato di 180 gradi, in un mondo in cui dall’impresa calcistica si tende comprensibilmente a fuggire, non siamo certi che Andrea Agnelli sia attrezzato per tutti e tre i fronti su cui è chiamato a combattere nello stesso momento: come se, in questo caso, il Pirlo della situazione fosse lui.

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