Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza

Josip Ilicic, la nonna e il nipotino

Alessandro Bonan

Josip Ilicic ogni tanto si perde, uomo fuori dal tempo e dallo spazio che cerca, nemmeno troppo affannosamente, di riprendere confidenza con la natura, con l’ambiente che lo circonda

Lo chiamano la nonna, perché ogni tanto rallenta, stanco e malinconico, fino a spegnersi quasi del tutto. Parliamo di Josip Ilicic, il calciatore più strano del mondo. Il soprannome gli è stato dato dai compagni, teneramente affezionati a lui, uomo sensibile e buono. L’immagine, languida e un po’ triste, soprattutto di questi tempi dove gli anziani sono messi a dura prova, ben gli si addice. Perché Josip ogni tanto si perde, guardandosi intorno, come confuso da tanta velocità. Lo vedi alto, immobile in mezzo al campo, come un semaforo spento superato da strisce di luce. L’immagine onirica di un uomo fuori dal tempo e dallo spazio che cerca, nemmeno troppo affannosamente, di riprendere confidenza con la natura, con l’ambiente che lo circonda. È in quei momenti che “la nonna”, a cui manca solo una calza in mano per essere iconograficamente perfetta, aspetta con pazienza di ritrovare nella memoria, nascosto da qualche parte, un ricordo di sé che la riporti indietro nel tempo quando era giovane e forte. Qualcuno dall’esterno lo chiama a gran voce, “nonna che fai piantata lì, sbrigati, datti da fare”. La voce lo desta, lo indigna vagamente. Di questa voce Josip non condivide la forza, la risolutezza. “Perché gridi così, mica sono sorda!”, sembra rispondere. E come se nulla fosse ricomincia a correre, prima piano poi sempre più forte, togliendosi di dosso, come un buffo super eroe, i panni della vecchia signora. La gonna lunga, lo scialle fatto a mano, perfino la parrucca dai fili bianchi calati sulle spalle. Da “nonna” a grande calciatore non passa che un attimo e infatti la scena cambia: si vede Josip prendere il pallone, girare su se stesso, ripartire veloce, bloccarsi improvviso, saltare come un birillo l’avversario, puntare la porta con l’occhio nel mirino come fanno i fucilieri, e sparare dritto nel sette colpendo in pieno il povero ragno appeso all’angolo. Comincia la festa, i compagni esultano, qualcuno gli si aggrappa sulle spalle riconoscendo l’uomo forte che ha preso il posto della persona fragile. Josip sembra quasi distratto, nuovamente estraneo a ciò che lo circonda. Qualcuno dalla panchina s’impaurisce, entra in campo e gli parla in un orecchio. Josip accenna un sorriso, il primo che gli si accende sulla faccia dopo tanto tempo. Con quella camminatura strascicata, ritorna a centrocampo, si tira sula una calza, e ricomincia a vivere. Si dice che “la nonna” sia molto orgogliosa di quell’allampanato nipotino.

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