Cosa aspettarsi dal Giro d'Italia 2021

Giovanni Battistuzzi

La corsa rosa è un gioco dell'oca pieno di trappole nelle quali può succedere di tutto. Una presa di posizione dell'organizzazione: sull'ultima salita rischiate di non combinare granché, attaccate prima

Una corsa a tappe di tre settimane è un grande gioco dell'oca nel quale finire su di una casella sbagliata può compromettere, più o meno irrimediabilmente, l'intera partita. Ogni anno queste caselle sono distribuite in modo diverso, a volte ce ne sono di più, altre di meno, a volte contano il giusto, altre sono determinanti.

 

Ci sono edizioni nelle quali le incognite hanno un peso minore perché il percorso prevede dei crocevia precisi nei quali tutto si dovrà decidere. È la dittatura dell'alta montagna, quella dei passi che superano di slancio i duemila metri e affettano le velleità del gruppo in tre: da una parte chi quelle altitudini le brama, dall'altra chi le odia, in mezzo chi spera di poterle superare. È la dittatura delle cronometro, quella della solitudine in bicicletta, dimensioni di pochi, cruccio di molti.

 

Ci sono edizioni nelle quali invece di crocevia ce ne sono molti, perché il tracciato invece di essere esclusivo, è inclusivo. Non disarma a priori le ambizioni, anzi incoraggia la guerriglia, non punisce l'azzardo sconsigliando l'attesa, premia la costruzione di una narrazione alternativa a quella tradizionale che dice "una grande corsa la si vince nella terza settimana". Che è qualcosa di sempre vero, una regola talmente evidente da sconsigliare qualsiasi deviazione dalla prassi a volte anche agli organizzatori delle grandi corse a tappe.

  

Il percorso del Giro d'Italia 2021 è un gioco dell'oca molto più inclusivo dei quello degli anni scorsi nel quale colpiscono le assenze, più che le presenze. E non si parla di corridori ma di montagne: quelle delle Alpi occidentali, quelle delle salite da ventichilometri e più, quelle delle cime dove un po' di neve c'è sempre. Eppure a focalizzarsi sulle assenze sfugge ciò che c'è, che è tanto e che è nuovo, che, a parte qualche significativa eccezione (Zoncolan, Fedaia, Pordoi e Giau), è un saluto, momentaneo certo, ma significativo, all'effetto amarcord di cui erano intrisi le ultime edizioni del Giro d'Italia. (l'altimetria delle tappe)

 

Il ciclismo è sempre stato così, è un continuo altalenarsi tra una sottile e insuperabile nostalgia del passato e un ricorsivo guardare altrove. Vincenzo Torriani, patron dal 1949 al 1993 della corsa rosa, era maestro nel bilanciare queste due componenti. "L'alternanza è essenziale, per non rendere la storia stucchevole e la novità eresia. E viceversa", disse nei primi anni Ottanta quando venne accusato di disegnare il Giro in modo tale da permettere a Francesco Moser e Beppe Saronni di poterlo vincere.

 

La prima novità di questo Giro è arrivata con il continuo slittamento della presentazione, arrivata oggi 24 febbraio (siamo sicuri che sia davvero necessario presentare il percorso di una corsa a tappe? Non sarebbe più affascinante scoprirlo giorno per giorno?). La seconda sono gli arrivi in salita, inediti per geografia del Giro d'Italia e per dimensioni: media lunghezza, media pendenza, insomma una sentenza: inventatevi qualcosa prima perché altrimenti correte il rischio di non risolvere un bel niente sull'ultima ascesa.

 

Il Giro d'Italia quest'anno è una presa di posizione rispetto al racconto comune che ritiene le corse noiose perché si risolvono, almeno tra chi lotta per la classifica finale, negli ultimi chilometri dell'ultima salita di giornata (non è sempre così, ma lo sportivo da divano non è mai appagato davvero). L'ha palesata nella scelta degli arrivi, nella gestione delle salite, delle discese, dei tratti in falsopiano, quelli che se ben sfruttati possono rivoluzionare la classifica. Il Giro ha scoperto le carte, ha riempito il percorso di caselle giuste per rendere a molti sbagliata la corsa. 

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