Dov'è finito lo sport a Siena?

Matteo Lignelli

La Mens Sana dominava il basket italiano, l'Ac Siena in Serie A c'è stata per nove anni. Poi il castello di carte è caduto e le due squadre sono finite ai margini di pallacanestro e calcio. Storia di un crollo sportivo

Tra i simboli di Siena c’è una lupa che allatta due gemelli. C’entra, eccome, la storia di Roma visto che secondo la leggenda i due poppanti sono Senio e Ascanio, i figli di Remo che fuggono dal fratricida Romolo. Ma a pensarci bene, il gesto della madre che nutre le due creature è anche una metafora di come lo sport senese si è conservato ai massimi livelli per quasi quindici anni, fino al 2014, con il sostegno del Monte dei Paschi.

   

Dieci stagioni fa la Mens Sana vinceva il quinto scudetto di fila (saranno sette) e raggiungeva la semifinale di Eurolega. È l’ultimo trofeo rimasto sugli scaffali, i successivi sono stati revocati: due scudetti, due Coppe Italia e una Supercoppa italiana. “La retribuzione in nero degli atleti e la sistematica falsificazione dei bilanci di esercizi” hanno conseguito un “illecito vantaggio” spiega nel 2017 il tribunale federale della Fip.

  

Quello stesso anno, il 7 maggio, il Siena di Antonio Conte è promosso in A con tre turni d’anticipo. La festa non è per tutti: l’attuale allenatore dell’Inter è già materiale infiammabile per le telecamere e avverte “pseudo giornalisti” e “gufi” di non salire su quel “cazzo di carro”. In totale, dal duemila in poi, il club ha disputato nove stagioni in A e cinque in B.

  

Restano solo i ricordi. Altri tempi, un’altra Siena. Oggi il club di calcio è in serie D e perde con squadre di quartiere, come il Trastevere. “Una volta vincevamo all’Olimpico con la Roma” ricorda Lorenzo Mulinacci, presidente del Siena Club Fedelissimi, tra i più antichi d’Italia. La Mens Sana, invece, si trova in C Silver (la vecchia C2), un campionato che inizierà solo a fine febbraio. I canestri del palasport sono quasi un impiccio per le partite che contano: volley e pallamano. Le due realtà sono fallite a ridosso dell’estate di sette anni fa, ma su quelle macerie nessuno è più riuscito a costruire. E infatti sono sparite un’altra volta, a una manciata di anni di distanza. “L’abbandono del Monte dei Paschi ha messo fine a un’era, è venuto meno il punto di riferimento” ha sintetizzato una volta il coach senese Simone Pianigiani.

   

Nel calcio questo si è tradotto, il 25 agosto, con la consegna del titolo sportivo al fondo d’investimento armeno Berkeley Capital. Avrebbero voluto prelevare la società dall’ex proprietaria Anna Durio, in difficoltà economiche, ma la trattativa non si è conclusa e alla fine non è riuscita a iscrivere la Robur alla C, tornata nei dilettanti dopo sei anni e una finale playoff persa nel 2018. Il giovane presidente Roman Gevorkyan l’ha spuntata su 11 concorrenti grazie a un piano industriale che include il celere restyling del Franchi. “Per questo - spiega il suo vice (e advisor) Andrea Bellandi - non ci sono alternative all’immediata promozione: la proprietà ha fatto investimenti importanti e vuole salire”. “Avremo un impianto da 18mila o 25mila posti – svela Bellandi – non servirebbe a niente in queste categorie: è chiaro che puntiamo alla B”.

   

Soldi, ambizioni e inizialmente risultati. “Infatti fino all’esonero di Gilardino è filato tutto liscio - ammette Mulinacci – poi ho visto subire alla Robur le più grandi umiliazioni dei miei cinquant’anni da tifoso”. Il campione del mondo del 2006 aveva rifiutato offerte dai pro attratto da questa avventura, che per lui è finita l’11 gennaio da secondo in classifica. La separazione ha smascherato il modo di fare calcio dei nuovi proprietari e la loro impronta orientale, condividendo uomini e pareri con le altre aziende calcistiche della holding, in Armenia, Lettonia.

   

Il nuovo tecnico – dopo il traghettatore (e bandiera) Stefano Argilli – è il lettone Marian Pahars, ex calciatore che in patria allenava il Jelgava. Avrà un supervisore: Vladimir Gazzaev, figlio dell’ex ct della Russia, uno dei consulenti di Berkeley Capital. Nel caos sono arrivate due brutte sconfitte e il Siena è scivolato al settimo posto. "Ma come si fa, in D, a vedere un allenatore che dà indicazioni in inglese?", si chiede il presidente dei Fedelissimi. La gente ha mal digerito sia la deriva tecnica – è appena arrivato il centrocampista lituano Zulpa e in estate si è puntato sull’attaccante macedone Mahmudov, finora una delusione – sia scelte impopolari come la rimozione della lupa dal logo, delle strisce dalla maglia e il nome Acn Siena, in cui la “n” rimanda al Noah di Erevan, compagine sempre della holding.

   

La nuova Mens Sana Basketball Academy si sta invece costituendo a passi lenti. L’ultima gara di serie A giocata in viale Sclavo risale al 25 giugno 2014. Una Verbena cantata di fronte a cinquemila persone mentre la società è in fin di vita. Quel febbraio, il Cda non approva il bilancio, in perdita di 5,4 milioni, e la società va in liquidazione. Dal 13 marzo Ferdinando Minucci, il deus ex machina di un sistema di fatturazioni sovrastimate per 35 milioni di euro, lascia il ruolo di general manager. Dal gennaio 2013, dopo l’inizio dell’inchiesta “Time Out”, non è più presidente. Sarà radiato nel 2016. “Il 27 giungo torniamo da Milano, dopo gara 7 dei playoff, e al PalaEstra ci aspetta l’abbraccio di più di mille persone. Sapevamo che c’era il rischio di non iscriversi al campionato. Una notte che non dimenticherò” racconta Riccardo Caliani, entrato nel 2008, a 24 anni, come addetto stampa e poi team manager. “Quello che è successo, però, le ha spinte ad esserci nella ripartenza: l’anno dopo, in B, avevamo duemila abbonati”.

   

     

Infine, due stagioni fa si è consumato il secondo fallimento, quello del sodalizio della famiglia Macchi, e i toscani sono stati esclusi dall’A2 a campionato in corso. Rinati come costola della Polisportiva mensanina, hanno iniziato dalla Promozione e in estate sono stati ricollocati in C Silver. “Il progetto - prosegue Caliani – prevede di tornare in B in tre o cinque anni, con le nostre forze e le sponsorizzazioni del territorio”. “Dobbiamo autofinanziarci, fare il passo proporzionato alla gamba. Penso soprattutto a strutturare la società per quando, un domani, ci sarà da fare uno step più importante”.

   

La Mens Sana è una di quelle famiglie cadute in disgrazia che continua ad avere una certa influenza in città. Può contare su sponsor locali forti (Estra e ChiantiBanca) e altri nazionali come Named, che produce integratori, stampato sulle canotte. “Il vero tesoro – assicura – sono i tifosi. Per loro la ‘Mens Sana è una fede’, come si legge al palazzetto e lo zoccolo duro è rimasto al nostro fianco: in 140, anche senza sapere se avremmo giocato per via del Covid, hanno fatto l’abbonamento. In Promozione avevamo 570 abbonati e 800 presenze di media con un picco di mille per il derby col Libero Basket”. Assurdo per un livello (quasi) amatoriale.

   

“Per rilanciarsi Siena ha bisogno di imprenditorialità, a tutti i livelli” osserva l’assessore allo sport Paolo Benini. “Era una città potentissima, dove il denaro correva forte, ma la Zecca in cantina non c’è più”. “La tradizione – conclude – deve fare da propulsore per diventare padroni del nostro destino, non immobilizzarci. La banca ha fatto il bene di questa città, però è anche vero che tutto in passato partiva da loro”. 

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