Rafael Leao esulta dopo il gol segnato al Sassuolo (foto LaPresse) 

Meglio non guardare i social

Il gol da record di Leao e il concerto jazz della Serie A

Vanno bene le squadre che vivono di entusiasmi. Il resto è un mistero che continua a smentire analisi e opinioni

Giuseppe Pastore

Perché chiedersi che cos'è questo campionato irregolare, rapsodico, fatto di strappi nervosi e improvvisi e di passaggi a vuoto ancora più clamorosi e snervanti, è una perdita di tempo

“Che cos'è il jazz?”, si chiedeva Louis Armstrong. “Amico, se hai bisogno di chiederlo, non lo saprai mai”. Allo stesso modo chiedersi che cos'è questo campionato irregolare, rapsodico, fatto di strappi nervosi e improvvisi e di passaggi a vuoto ancora più clamorosi e snervanti, è un po' una perdita di tempo. A tredici giornate su trentotto – oltre un terzo della durata totale – sembra chiara soprattutto una cosa, se non solamente una cosa: stanno andando bene, mantenendo una loro regolarità ancora più notevole e peculiare con questi calendari da acqua alla gola, le squadre che vivono di entusiasmi. Non solo il Milan, le cui scenette da terza liceo in pullman stanno diventando proverbiali, ma anche realtà più piccole come il Benevento quasi interamente a trazione meridionale o la Sampdoria su cui spira un possente vento da Nord Europa, che hanno sulla tolda di comando icone viventi dell'Entusiasmo e della Serenità, Pippo Inzaghi e Claudio Ranieri. Al contrario, annegano nella depressione piazze nobili come Genoa, Fiorentina e Torino, il cui status di aristocratiche decadute brucia e offende ancora di più in questo momento di generale cupezza, in cui poche cose come il calcio potrebbero aiutare a svoltare l'umore delle giornate.

 

Se vi sembrano discorsi semplicistici, che tengono conto o poco nulla della complessità del calcio come incrocio dei venti in cui confluiscono e si mescolano la sfera tattica, la preparazione fisica, la casualità degli infortuni eccetera, sì, probabilmente avrete ragione. Ma stateci a sentire se vi diciamo che non esiste punto esclamativo più squillante del gol di Rafael Leao segnato in 6 secondi e 76 centesimi (record dei cinque principali campionati europei), che oltre a essere una prodezza da Guinness ha anche altre tre circostanze che lo rendono inimitabile e simbolico del momento. La prima è che è stato segnato da uno degli esseri umani più beatamente incoscienti della serie A: Rafael Leao è un giocatore dal bagaglio tecnico potenzialmente lussuoso ma scostante e intermittente come una connessione a 56k, po' esse fero e po’ esse piuma, farà perdere alcuni punti al Milan ma ne farà guadagnare altri, e nemmeno lui sa quali. La seconda è che quel numero senza precedenti è stato il primo pallone giocato dal Milan nella domenica pomeriggio che doveva sancire il sorpasso in vetta dell'Inter, un pronostico cavalcato senza posa da entrambe le tifoserie sui social (e tutti i calciatori leggono i social, e una buona parte ne è schiava inconsapevole): e invece no. La terza è che è il biglietto da visita del terzo giocatore schierato centravanti titolare da Pioli nell'ultimo mese, vista l'assenza di Rebic e soprattutto il nuovo infortunio muscolare di Ibrahimovic che aveva sprofondato nella cupezza milioni di milanisti. Il quadro era chiarissimo, gli astri allineati per la prima ferale sconfitta del Milan e il susseguente cambio della guardia, e invece il campo – inimitabile pozzo senza fondo di situazioni a effetto, colpi a sorpresa, trovate alla Hitchcock – ha ribaltato genialmente le aspettative di tutta Italia in sei secondi e settantasei centesimi.

 

Siamo di fronte al campionato più inafferrabile di sempre. Le partite ogni tre giorni hanno costretto tutte le squadre a riprogrammarsi anzitutto mentalmente: gli allenatori stanno lentamente imparando ad affrontare l'imprevisto come regola e non come eccezione, sia esso una catena di infortuni muscolari o la frattura con il capitano e giocatore più forte della rosa, cui Gasperini ha brillantemente risposto con la qualificazione agli ottavi di Champions e sette punti contro Fiorentina, Juventus e Roma. Alla fine di un Lazio-Napoli di cui è stato mattatore assoluto, Ciro Immobile ha citato l'importanza del lavoro psicologico per passare in quattro giorni da un mesto 1-1 a Benevento alla miglior prestazione stagionale in campionato; la psicologia è il terreno di gioco che sta mancando sotto ai piedi del Napoli di Gattuso, uomo ricco e umbratile, che dà tantissimo ma esige tantissimo ed è a disagio nel tentativo di gestire i pensieri di una rosa ricca e di grande talento ma troppo molle per i suoi gusti, perché evidentemente abituata ad altre lunghezze d'onda – e difatti da oggi tutti in ritiro, la carta della disperazione. Si andrà avanti così ancora a lungo, a strappi e morsi e brandelli di calcio che sconvolgeranno a ripetizione le nostre fragili certezze, e così la Roma un giorno sarà da scudetto e tre giorni dopo da buttare. Opinioni usa e getta come si addice all'era effimera dei social dove un tweet sbagliato si può sempre cancellare e alle brutte è un attimo citare Oscar Wilde: solo i cretini non cambiano mai idea. Non tutto ha una spiegazione, non tutte le miglia solcate da una nave in tempesta sono lisce e seguono il copione: quest'anno si recita a soggetto.  Occorre adattarsi, senza piagnistei, senza polemiche arbitrali, senza il superfluo che in questi mesi di mare grosso va solo gettato giù dal ponte: e soprattutto abbandonando l'abitudine, tutta di noi tifosi e osservatori, di voler sempre trovare la chiave e anticipare la soluzione di questo puzzle da cinquemila pezzi. Se solitamente è un mistero già la testa di un solo uomo, figuriamoci venticinque. Vai col jazz.

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