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Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza

Paolo Rossi, quello che eravamo

Alessandro Bonan

Pablito era come giocava, arguto e talentuoso. Una persona intelligente che si raccontava con semplicità, senza mai indugiare sul mito

Anticipiamo la rubrica di Alessandro Bonan del Foglio sportivo che troverete in edicola il 12 e il 13 dicembre. 

 


   

Paolino era identico al suo sorriso: una lieve carezza. Lo era come amico, conquistandoti con la sua simpatia furba, toscana, lo era come calciatore, quando sbucava dal nulla per segnare un gol. Paolino sembrava eterno, accidenti, un bambino felice, sia in campo che fuori. E invece, fugace come certi suoi rapidi guizzi, se n’è andato per scappare chissà dove. Bambino dispettoso! Il suo ricordo è dolce, di una persona intelligente che si raccontava con semplicità, senza mai indugiare sul mito. Perché Paolino è stato un mito, nonostante minimizzasse, come se del passato gli fosse rimasta addosso una polvere sottile di brillanti, ma solo quella, niente di particolarmente sfarzoso. Paolo era come giocava, arguto e talentuoso. Era nato per segnare ma prima ancora, per stupire. Fisico minimo, pareva uno scherzo buttarlo giù, e invece era difficile prenderlo. Da ala nel Vicenza di G.B.  Fabbri, partiva in dribbling come una sorta di Garrincha italiano, nella Juventus e in Nazionale diventò Pablito. La sua versione migliore resta infatti Argentina 78, quando insieme a Bettega formò la coppia d’attacco più forte del Mondiale. Al tempo era nel pieno della sua gioventù, con le ginocchia a posto, e si muoveva con la velocità di un gatto. Poi ancora Juventus, la Spagna, storie che conoscono tutti.

 

Tecnicamente era un mostro, e bisognava osservarlo da vicino per capirlo. Spostava col piedino il pallone anche cento volte mandando a vuoto i difensori. Faceva appunto come un gatto con la zampa sul gomitolo di lana. Con le ginocchia lise, ridusse il raggio della sua azione, e come gatto si fece sornione, aspettando l’occasione propizia per graffiare. Di sé diceva di essere normale, ma tenace. Troppo poco Paolino, per entrare nella storia. Sei stato un brivido lungo la schiena, un bacio in fondo al mare, la Panda con lo stereo a palla, il bagno nella fontana in un abbraccio senza forme. Sei stato una bandiera enorme che ci copriva il viso, e l’orgoglio di appartenere a qualcosa di importante. Sei stato i nostri vent’anni durati almeno per altri venti, con le tue braccia alzate ma non troppo, come per timidezza senza voler disturbare. E oggi che del passato vediamo qualche scintilla e del futuro il fumo, ci resta questo inutile presente, dove cadono come soldati tutte le nostre leggende. E mentre ci chiediamo il perché di questa guerra, non troviamo, com’è scontato, nessuna risposta. Ci resterà il tuo nome, così comune, a dirci che ne è valsa la pena. E’ stato formidabile Paolino, grazie a te, guardare le stelle, vincere il mondiale e vivere quel momento ogni giorno e per sempre.

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