Bernie Ecclestone (foto LaPresse)

Novant'anni di Bernie Ecclestone

Umberto Zapelloni

Ha iniziato come pilota, "ma di serie minori", si è trasformato in proprietario di team, ha vinto due Mondiali con la Brabham, ha assecondato il business dei diritti tv e di quelli commerciali prima di diventare il padrone della F1. E potrebbe avere un aneddoto per ognuna delle 1.030 gare fin qui disputate

Non è da tutti festeggiare i 90 anni tenendo sulle ginocchia un figlio di pochi mesi. Bernie Ecclestone è ridiventato padre, parecchio tempo dopo esser diventato nonno. Ace, nato lo scorso luglio, è il suo primo maschio dopo Deborah e le ben più famose Tamara e Petra. Ha trovato l’erede al trono alla soglia dei 90 anni che festeggerà sobriamente il 28 ottobre in Svizzera. Un piccolo record per l’uomo che ha trasformato la Formula 1 in un business globale e poi l’ha venduta un paio di volte diventando, già nel 2011, la quarta persona più ricca del Regno Unito secondo la classifica di Forbes che oggi stima la sua ricchezza in 3,3 miliardi di dollari.

   

Il giorno in cui la Formula 1 ha cominciato a mettersi in moto, il 13 maggio 1950, Bernie Ecclestone era già in zona. “I was there. Io c’ero – mi ha raccontato qualche mese fa - E non solo ero lì, ma correvo. Non partecipavo alla gara principale, ma in quelle che venivano chiamate support races, la Formula 500, la Formula 3 di oggi. Con me in pista c’era anche Stirling Moss, lo ricordo benissimo”. Bernie Ecclestone potrebbe avere un aneddoto per ognuna delle 1.030 gare fin qui disputate. E se anche non ricordasse esattamente potrebbe sempre inventare perché Mister E, come lo chiamavano i suoi più stretti collaboratori, è sempre stato anche un abilissimo bluffatore. “A quei tempi la Formula 1 era ancora uno sport da gentleman appassionati, non un lavoro per fare soldi. Team e piloti erano orgogliosi di farne parte…”, ricorda, dimenticando che il primo a fare montagne di soldi è stato proprio lui.

  

Ha cominciato come pilota non riuscendo mai a qualificarsi per il Gran premio di Monaco del 1958; è diventato manager e ha visto morire in pista il suo uomo migliore oltre che un amico carissimo come Jochen Rindt; si è trasformato in proprietario di team e con la Brabham ha vinto due mondiali piloti (con Piquet) negli anni Ottanta; ha fondato la Foca, l’associazione dei costruttori intuendo e poi assecondando il business dei diritti tv e di quelli commerciali. E’ diventato il padrone della Formula 1, quello che gli inglesi chiamano  “supremo” e noi italiani più rozzamente “padrino”. Nel gennaio del 2017 ha venduto il giocattolo a Liberty Media per 8 miliardi di dollari. Ha frequentato i gran premi ancora un po’, poi ha preferito guardare tutto da lontano. Da Londra, da Gstaad, dal Brasile il paese della sua ultima moglie. Ne ha avuta una alta il doppio di lui, Slavica, modella di Armani, ora ne ha una con la metà dei suoi anni. Sa come mantenersi giovane.  “Il mio grande merito stato forse di aver attirato le televisioni di tutto il mondo. A quel tempo, trasmettevano solo la gara di Monaco. Io volevo che trasmettessero ogni gara e le comprassero come un pacchetto. Non ho idea di come ci sia riuscito. Ero solo un semplice rivenditore di auto. Probabilmente ho venduto la Formula 1 come un buon rivenditore di auto usate”. Prima di vendere auto, da ragazzino, vendeva penne, matite e compiti ai suoi compagni di classe. Ha sempre saputo fare affari. “Ma io non ho mai lavorato solo per fare soldi. Per me fare affari era una specie di competizione. Più ci riuscivo, meglio mi sentivo. Il fatto che mi facesse diventare ricco era solo una conseguenza, ma non la spinta. La mia ispirazione è stata quella di rendere possibile l'impossibile”. Esattamente come ha fatto con l’ultima paternità. Per uno strano scherzo del destino, pochi mesi dopo aver visto nascere il suo primo erede maschio, i nuovi proprietari della Formula 1 hanno deciso di nominare finalmente il suo erede vero, Stefano Domenicali. “Stefano è un grande uomo di cui ci si può fidare, mi ha anche telefonato per ricevere qualche consiglio – ha detto ad un giornale svizzero – anche se bisognerà vedere se sarà abbastanza forte nelle criticità e nei momenti di difficoltà. Ha comunque i contatti, le conoscenze e le competenze per poter ricoprire questa carica”. Una benedizione. Perché Bernie non è sempre tenero. Con Binotto, ad esempio, non è mai stato troppo tenero. “Ho solo detto che è un super, super ingegnere in Ferrari da tantissimo tempo e che conosce tutto della Ferrari. Ma è una cosa differente essere ingegnere e essere team principal. Un manager deve essere spietato per raggiungere i suoi obbiettivi”. Lui lo è stato, il suo amico Briatore pure, Jean Todt è diventato famoso per la sua cattiveria, Toto Wolff non è da meno anche se poi in pubblico mette la maschera sorridente. Bernie è l’uomo che a modo quando noi giornalisti andavamo a lamentarci da lui ci dava ragione, ci assecondava per un giorno, poi studiava come rimettere le cose a modo suo. Sapeva essere deciso. Ogni tanto ha esagerato, è finito in un’inchiesta per corruzione che gli è costata 100 milioni per far archiviare tutto. Ma se c’è un uomo da cui comprare un auto usata questo è lui. Di sicuro lui ci guadagnerebbe, ma farebbe guadagnare anche voi.

   

Non aveva il talento per guidare e quando lo ha capito si è concentrato sul business. Ma il talento lo sa riconoscere. Se gli chiedete chi è stato il migliore vi risponderà un po’ a sorpresa Alain Prost, ma lo motiverà a modo suo: “E’ uno degli ultimi ad aver vinto senza tutti gli aiuti che hanno i piloti di oggi. C’è stata un’epoca in cui i piloti non avevano nessun tipo di informazione. Salivano in macchina e la dovevamo spingere al massimo. Oggi sanno tutto della loro auto e di come cambia durante una corsa. Sanno tutto delle loro gomme. Sanno tutto di come cambierà il tempo, se pioverà a no. A quei tempi magari non sapevano neppure in che posizione erano durante la gara e dovevano capire da soli tutto di gomme, cambio, motore. Oggi sanno tutto della loro auto e anche di quelle degli avversari”. Ma con Prost metterebbe anche Senna, Moss, Fangio, Stewart, Schumacher e Lewis Hamilton naturalmente. “Lewis è very, very, very  talented. Ha avuto una squadra molto, molto, molto forte dietro di lui. La miglior auto, la miglior organizzazione. Un po’ come accadde con Schumacher”. Tutta gente che, potendo, lo stringerebbe con affetto per augurargli buon compleanno. Se i piloti di oggi rischiano meno e guadagnano di più, il merito è anche di questo novantenne appena diventato papà.

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