Nel nome della Rosa

Pambianco prima dei consigli di Fausto Coppi

Marco Pastonesi

Fu l'Airone a cambiargli la vita: “Giro di Campania del 1959. Mi invitò nel suo albergo, mi fece massaggiare da Biagio Cavanna, il suo scopritore, e Cavanna emise la sua sentenza: è un bell’atleta, ma un po’ grasso. Poi Coppi mi spiegò". Intervista al vincitore del Giro 1961

Il 20 maggio 1958. Un martedì. Terza tappa del Giro d’Italia, la Varese-Saint Vincent di 187 chilometri. Pronti? Via.

 

“Fuga a tre: io, Aldo Moser e lo spagnolo Salvador Botella. Io e Moser tiravamo, Botella un po’ meno, stava a ruota, faceva il sornione. E così, sulla salita finale, se ne andò da solo. Nella volata per il secondo posto, superai Moser. Il gruppo dei migliori, dietro, sbriciolato, a due o tre minuti. E siccome la prima tappa era finita in volata e nella seconda a cronometro ero andato bene, presi la maglia rosa. Durò un solo giorno, ma quel giorno fu bellissimo, indimenticabile”.

 

Arnaldo Pambianco, romagnolo di Bertinoro, si era scoperto corridore su una bicicletta da garzone, con la giacchetta bianca da macellaio. Lo chiamavamo Gabanein, giacchetta, appunto: “Professionista dalla fine del 1957, il 1958 era il mio primo anno. Ero passato con la Legnano perché la Legnano, ai dilettanti più forti, forniva una bicicletta, regalava qualche tubolare e dava un po’ di assistenza. Così, poi, per gratitudine, per riconoscenza, le si rimaneva attaccati. Ma anche se il nome era storico e suonava importante, la squadra non era più un granché. Il direttore sportivo era sempre lui, Eberardo Pavesi, l’Avvocato, lo stesso che aveva guidato Brunero e Binda, Bartali e Coppi. Però non si era più aggiornato. Mai che ci desse un consiglio tattico, mai che ci regalasse un’indicazione strategica. Quando la tappa partiva, Pavesi saliva in macchina e, basco in testa e sigaro spento in bocca, si addormentava come un bambino”.

 

Ma c’era Coppi: “Lo vidi per la prima volta alla partenza del Giro di Sardegna del 1958, a Civitavecchia, perché la prima tappa si faceva sul continente. Non vedevo l’ora di poterlo guardare da vicino. Così lo cercai e, quando finalmente lo trovai, mi feci largo tra corridori e biciclette e mi piazzai accanto a lui, divorandolo con gli occhi. Lui se ne accorse, si girò e mi domandò se volessi qualcosa. Gli spiegai: lei era il mio idolo fin da quando ero piccolo. Gli dichiarai: adesso che sono qui, vicino a lei, addirittura parlando con lei, è una soddisfazione enorme. E gli confessai: sono emozionatissimo. Lui sorrise, poi mi disse: Pambianco, siamo tutti e due in bici, tutti e due ciclisti, e allora diamoci del tu”.

 

Fu Coppi a cambiare la vita di Pambianco: “Giro di Campania del 1959. Mi invitò nel suo albergo, mi fece massaggiare da Biagio Cavanna, il suo scopritore, e Cavanna emise la sua sentenza: è un bell’atleta, ma un po’ grasso. Poi Coppi mi spiegò: Pambianco, tu corri come un dilettante, vai sempre in fuga, ma vieni sempre ripreso, e sai perché?, perché devi andare in fuga ma più vicino al traguardo, hai una bella sparata, cerca di sfruttarla. Aveva ragione. Ma gli risposi: se avessi la squadra, lo farei, ma non ce l’ho, la mia è una squadra dove non ci sono capitani e non ci sono gregari, dove ognuno corre per conto suo, alla rinfusa, alla garibaldina, e io vado in fuga per mettermi in mostra”.

 

A cambiare la vita di Pambianco fu anche Giovanni Borghi, il signor Ignis: “Mi aveva notato e osservato, nel 1960 arrivai settimo al Giro e – da gregario - settimo al Tour vinto da Gastone Nencini, poi mi aveva ingaggiato per il 1961 e costruito una squadra per me, con corridori esperti, il capo era Valdemaro Bartolozzi, era lui a dirmi di stare fermo, di stare calmo, era lui a dirmi quando andare, quando attaccare”. E al Giro del 1961 la maglia rosa più bella fu quella finale, con i bordini tricolori per celebrare il Centenario dell’Unità d’Italia.

 

Invece, che fine ha fatto quell’unica maglia rosa del 1958? “Sparita. Quando tornavo a casa da una corsa, mancava sempre qualcosa. Maglie, pantaloncini, cappellini, guanti. Domandavo: che cos’è successo? Mio padre mi spiegava: è passato un ragazzo, mi ha chiesto se potevo dargli un indumento, poi è passato uno sportivo, mi ha chiesto se potevo dargli un ricordo, poi è passato un appassionato e mi ha chiesto se potevo dargli un cimelio”.

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