Juve-Napoli e il calcio che tradisce se stesso

La partita dell'Allianz Stadium annullata e il rischio necessario perché anche la Serie A conviva con il virus

Giuseppe Pastore

Semplificando brutalmente, è come se le squadre che hanno avuto casi di giocatori positivi al Covid si fossero chieste “possiamo giocare lo stesso?”, mentre il Napoli dev'essersi chiesto “come possiamo non giocare?”.

Prima o poi qualcuno dovrà dirlo una buona volta che nell'anno 2020 il calcio (italiano, inglese, spagnolo, norvegese, quello che volete) non è soltanto un bambino che corre felice nell'erba, un pallone che rotola, due amici che si abbracciano, un mucchio di cappotti usati come pali. Il calcio italiano è una complessa impresa da tre miliardi e mezzo di euro e come tale ha da gestirsi, nelle sue convenienze, nei suoi intrighi contabili e giuridici, nelle quotidiane meschinità di ogni azienda di questo mondo. La prima vittima di quest'immagine ipocrita da Mulino Bianco – falsa persino nei fatati anni Cinquanta e Sessanta in cui senz'alcun tipo di controllo e tutela prosperavano il doping e le partite truccate – è il calcio stesso, che ogni tanto pare vergognarsi del suo status, senza trovare il coraggio di rispondere a politici diversamente competenti che pigiano a tutto vapore sul pedale del populismo, a cominciare da un Ministro dello Sport mai così poco amante dello sport.

 

E dunque no: raccogliendo i confusi e contraddittori elementi usciti alla spicciolata in queste ultime 48 ore, possiamo dire tranquillamente che il Napoli ha forzato la mano – senza mai rilasciare un comunicato ufficiale, almeno al momento in cui scriviamo, salvo una mail del suo Presidente – trovando sponda nelle due ASL di Napoli 1 e Napoli 2 Nord. Qualcuno – il Napoli? Le ASL? Il Gabinetto della Regione Campania? – ha voluto scavalcare o semplicemente ignorare le regole che i venti club di serie A (tra cui lo stesso Napoli) si sono dati giovedì scorso, in concerto con la FIGC e il Comitato Tecnico Scientifico: ovvero con lo Stato stesso, da cui naturalmente dipendono le ASL e le Regioni. E' un conflitto Stato contro Stato che avvelena i pozzi, oscuro, nebuloso e burocratese come da peggior tradizione italiana, in cui il CTS cambia bandiera in corsa prima approvando il protocollo e poi dando ragione alle ASL; combattuto a colpi di pareri, dichiarazioni, ricorsi annunciati e minacciati, comunicati Ansa che vanno a formare un viluppo densissimo in cui fatalmente annega, come nel famoso “porto delle nebbie” di romana memoria, ogni pretesa di verità.

 

Siccome la competenza e lo spessore umano sono andati via via affievolendosi, fioccano gli scivoloni, a cominciare dall'ingegner Ciro Verdoliva, commissario straordinario dell'ASL Napoli 1, che ha sostenuto che se anche il Milan (nella stessa situazione numerica del Napoli, con due positivi) si fosse rivolto all'ASL lombarda di sua competenza avrebbe ottenuto lo stesso parere: circostanza prontamente smentita. Furbizie assortite, come l'idea di trasferire il domicilio dei giocatori del Napoli a Castel Volturno per consentire loro i regolari allenamenti che, seguendo alla lettera le rigorose istruzioni dell'ASL, gli sarebbero stati impediti per due settimane. Si fa lentamente strada il sospetto impossibile da confermare di un protocollo inizialmente violato innanzitutto dal Napoli stesso, come suggerito da Andrea Agnelli, per esempio nella scelta di lasciar tornare a casa i giocatori dopo la positività di Zielinski (venerdì), invece di “isolarli nella bolla” come hanno fatto correttamente il Milan, l'Atalanta, persino la Juventus stessa nonostante i “suoi” due positivi non facessero parte del gruppo squadra. Semplificando brutalmente, è come se le altre squadre si fossero chieste “possiamo giocare lo stesso?”, mentre il Napoli dev'essersi chiesto “come possiamo non giocare?”. Nei fumi si scorge venire a galla il pressappochismo di cui siamo sempre stati fatti, anche nella gestione della seconda fase di una pandemia in cui dati alla mano abbiamo poco da lamentarci, persino in una disciplina olimpica in cui storicamente non siamo mai andati a medaglia: l'osservanza alle regole (ecco, un'altra cosa: ogni tanto avremmo bisogno di farci qualche complimento).

 

Il fatto che il mondo ci guardi non è esattamente un luogo comune con cui darsi un tono, in un momento in cui i diritti televisivi del calcio italiano stuzzicano l'appetito di fondi americani che potrebbero dare una grossa mano ai 98 mila posti di lavoro (dati Sole 24 Ore) che gravitano attorno al nostro pallone. Vi sembra un discorso troppo materialista, un “pensare solo ai soldi”? E di cosa pensate che dovrebbe occuparsi un'industria da 3 miliardi e mezzo di euro? Forse che Aurelio De Laurentiis, presidente di una delle società economicamente meglio amministrate d'Italia, si serve del pallone per fare del mecenatismo non-profit? Viviamo tempi eccezionali e servono dosi eccezionali di organizzazione, buona volontà, coraggio nell'accettare il ragionevole rischio, affrontando il caso-Genoa (da cui deriva direttamente il caso-Napoli) non come una disgrazia, ma come un incidente prevedibile e previsto. Non stiamo sposando il cinismo del “tanto sono tutti asintomatici”, ci mancherebbe altro, ma vogliamo che nel concreto si agisca in modo tale che “dobbiamo convivere con il virus” non sia soltanto uno slogan da pensosa riflessione su Facebook. All'atto pratico, chi dà il diritto a chiunque (specialmente a uomini di Stato) di mandare in tilt un protocollo approvato dallo Stato stesso, rischiando di mandare all'aria con tale leggerezza un'industria da tre miliardi e mezzo? Scusate se torniamo sempre ai soldi, ma non è indelicatezza: semmai, la presa d'atto che dal punto di vista sanitario i calciatori e gli staff delle squadre di serie A sono una delle categorie più protette e tutelate del Paese, sicuramente molto più delle migliaia di persone che giocano a calcio, basket o rugby nelle categorie inferiori senza essere mai state tamponate preventivamente nemmeno una volta.

 

Siamo di fronte al classico bivio: la voglia collettiva e costruttiva di fare gruppo e superare i problemi, pur complessi che siano, oppure la piccola vigliaccheria dello scaricabarile a fini utilitaristici, alimentato da localismi e campanili vari, tendente a un'eterna procrastinazione. Chi ama lo sport, e dunque apprezza il rispetto delle regole e non ha in grande simpatia i sotterfugi e il cavillismo a oltranza come unica ragione di vita, sa già da che parte stare.

Di più su questi argomenti: