Ercole Baldini (nella foto LaPresse durante un inseguimento su pista al Vigorelli)

Nel nome della Rosa

Ercole Baldini e il segreto delle cronometro al Giro

“La cronometro è l'unica prova individuale di uno sport collettivo". Il ricordo di quei 26 chilometri tra Varese-Comerio nel 1958

Marco Pastonesi

Inizia il Giro d'Italia con la Monreale-Palermo. “Il mio favorito? Filippo Ganna. Ganna come il primo vincitore del Giro nel 1909. Un gran bel cognome”. Parla il Treno di Forlì

Il 19 maggio 1958. Un lunedì. Seconda tappa del Giro d’Italia, la Varese-Comerio, a cronometro, 26 chilometri. Pronti? Via.

 

Era il Treno di Forlì, poi aggiornato in Diretto, Direttissimo e Rapido. Era il primatista dell’ora (46,394) al Vigorelli e, poco dopo, campione olimpico di Melbourne 1956. Era il nuovo Coppi, tant’è che la Dama Bianca non lo poteva sopportare. Era Ercole Baldini. E aveva appena cominciato una delle fatiche del suo anno magico.

 

“La prima tappa, la Milano-Varese, era finita con una volata e la vittoria di Willy Vannitsen, un fiammingo che correva per una squadra italiana, la Ghigi. Poi, subito, la cronometro. La stagione era discreta, il tempo buono, il percorso mosso, intorno al Lago di Varese, con la salita del Sasso di Gavirate, abbastanza duro, però breve”. Se nelle prove contro il tempo si recitava la strategia “la prima parte forte, la seconda fortissimo, la terza a tutta”, stavolta c’era una sola modalità: “a tutta”.

 

Dorsale 19, maglia tricolore di campione italiano, bici d’acciaio Legnano, eroica – si direbbe oggi con il dizionario delle ciclostoriche – con manettini del cambio sul tubo orizzontale, fili dei freni scoperti e gabbiette ai pedali, niente borraccia e niente cappellino: “La cronometro è l’unica prova individuale di uno sport collettivo – spiega Baldini, 87 anni, forlivese di Villanova – La solitudine fa parte del ciclismo: davanti, in fuga, o dietro, staccato. Ma davanti o dietro ci sono sempre gli altri, i fuggitivi, i ritardatari, il gruppo, il gruppetto. Invece nella cronometro si è sempre soli, dalla partenza all’arrivo, dalla prima all’ultima pedalata, una solitudine scandita dai battiti del cuore e da quelli delle lancette del cronometro, una solitudine che a volte può perfino fare paura”.

 

Una specialità in cui Baldini non aveva rivali: “Uno sì: Jacques Anquetil. Forte, elegante, bello sulla bici e giù dalla bici. Ma a quel Giro d’Italia non c’era. E così vinsi. Con 1’08” di vantaggio su Miguel Poblet, spagnolo, della Ignis, e dunque arrivava proprio a casa del commendatore Giovanni Borghi, e con 1’09” su Charly Gaul, lussemburghese, della Faema, diretto da Learco Guerra. E così conquistai la maglia rosa”. Lana, girocollo con cerniera, tasche con bottoni sia davanti sia dietro. All’altezza del cuore il marchio della “Gazzetta dello Sport”, sul petto la scritta Legnano nera su sfondo bianco. Sul palco, a consegnargliela, Gino Bartali e Vincenzo Torriani, il patron del Giro.

 

“Si è sempre detto che è meglio non prendere la maglia rosa né subito né troppo presto, perché poi bisogna far lavorare la propria squadra, con il rischio di sfinirla, per difendere il primato. Non sono d’accordo. O con la maglia o senza maglia bisogna sempre lottare per la classifica generale. E allora tanto vale indossarla e tenerla. E più giorni la si tiene, meglio è”. Non fu così. “Il giorno dopo, la Varese-Saint Vincent, andò via una fuga. A vincere fu lo spagnolo Rodrigo Botella, a conquistare la maglia rosa Arnaldo Pambianco, mio amico e compagno di squadra. Per ordini di scuderia, non potevo inseguire o rientrare. E comunque la squadra avrebbe dovuto continuare a lavorare per difendere il primato”. Strada facendo, le cose cambiarono: “Ripresi la maglia rosa l’ultima settimana, nella Cesena-Boscochiesanuova, e stavolta la mantenni fino a Milano”.

 

Una maglia rosa al giorno. “Era la regola – svela Baldini -. Le prime dovetti regalarle agli sponsor, l’ultima delle sette, quella di Milano, sono riuscito a tenerla per sempre”.

  

Sessantadue anni dopo, il Giro (e la vita) ricomincia con un’altra cronometro: “Il mio favorito? Filippo Ganna. Ganna come il primo vincitore del Giro nel 1909. Un gran bel cognome”.