Il destino crudele di Lukaku, decisivo suo malgrado nella vittoria del Siviglia

Gli spagnoli vincono la loro sesta Europa League battendo per 3-2 i nerazzurri. L'attaccante eguaglia Ronaldo nella sua prima stagione nerazzurra. Poi la beffa

Giuseppe Pastore

Noi italiani abbiamo un gusto per l'eccesso e la drammatizzazione davvero invidiabile: poi stasera uno sceneggiatore abilissimo ha persino messo un arbitro olandese sulla strada di un italiano (e che italiano) di nome Conte, a riconferma che la politica non è altro che l'imitazione del pallone con mezzi e intelligenze molto più scadenti. Nell'Inter stralunata, stravissuta, straschiacciata dalla pressione che si è autoimposta da lunedì sera per colpa di uno sfavillante 5-0, dai riflessi appannati in panchina e in campo come dimostrano la miriade di passaggi sbagliati e stop semplicissimi lunghi tre metri, le distanze sbagliate e le marcature perse sui calci piazzati, oppure i cambi al rallentatore di un allenatore su di giri fin dal minuto 1, provocato ad arte da quella vecchia lenza di Banega, che dal 70' in avanti – un po' come nel fatale quarto Italia-Germania di Euro 2016 – aveva smesso di bluffare, gettato la maschera e dichiarato con triplice firma: sì, voglio i supplementari. Insomma, in quest'Inter inter-amente surriscaldatasi troppo presto, come certi telefonini efficientissimi ma oramai allo stremo delle forze, brilla fatalmente più degli altri il trattamento crudele riservato dal destino a Romelu Lukaku.

 

Aveva fatto il suo dovere – cioè gol – subitissimo, dopo quattro minuti, in capo a una dirompente azione personale alla Adriano, con l'ennesimo rigore impeccabile della sua stagione impeccabile. Aveva eguagliato il monumento Ronaldo, 34 gol alla sua prima stagione interista, e ha avuto l'autostrada per fare 35, galoppata di 50 metri, che sembrava il Fenomeno a Parigi nell'ultima Coppa Uefa vinta prima di questa, maggio 1998, sul lancio di Checco Moriero, e Gigi Simoni in panchina che quest'anno se n'è andato nel decennale esatto del Triplete. Diamine, che sceneggiatura perfetta, che cocktail micidiale di emozioni, suggestioni, tuffi al cuore.

 

E invece il destino: non so voi, ma quando si parla di destino il sottoscritto pensa sempre a Bennie Blanco del Bronx, il bastardo che aspetta Carlito Brigante all'ingresso del treno e alla fine del film, per freddare lui e freddare noi davanti alla tv. E quindi Yassine Bounou detto Bono, portiere un po' marocchino e un po' canadese, un figurante della finale di cui non si ricorda un fotogramma né prima né dopo la parata che ha girato la vite fatale di Siviglia-Inter. È quasi superfluo ricordare che alla fine Lukaku ha davvero fatto 35 nel modo più tormentoso e doloroso, una drammatizzazione delle cose del tutto non necessaria, un torcimento di budella di cui non c'era alcun bisogno.

 

O forse sì, o forse è del tutto normale, nella centrifuga (copyright di Giovanni Trapattoni, un altro ex juventino che salutò stremato dopo un'altra Coppa Uefa, stavolta vinta, nel 1991) esistenziale che risponde al nome di Football Club Internazionale.

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