Il Siviglia raccontato da chi lo conosce bene. Parla Manolo Jiménez
Gli avversari dell'Inter nella finale di Europa League, per l'ex giocatore e allenatore dei biancorossi, sono una squadra di “grande equilibrio alimentata da sentimento forte e nobile come quello del sevillismo”
C'è stato un prima e c'è stato un dopo. La storia di Siviglia ha conosciuto una rivoluzione tra fine anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, quando i rapporti di forza calcistici cittadini sono iniziati a cambiare una volta per tutte. Stasera contro l’Inter il Siviglia gioca per vincere l'Europa League per la sesta volta e diventa il club con più finali europee giocate nel ventunesimo secolo.
Manolo Jiménez ha attraversato le varie fasi, da giocatore e da tecnico. C’è stato prima e c’è stato anche dopo, rendendosi protagonista della transizione: “Insieme a Monchi, che era appena diventato dirigente, e all’allora presidente Roberto Alés, ci riunimmo e iniziammo a gettare le basi per un futuro diverso. Nel 2000 quando iniziai la mia carriera di allenatore nella squadra B del Siviglia in quarta serie, la prima squadra era appena retrocessa nella seconda divisione spagnola. Puntammo forte sui giovani del nostro vivaio e pensammo che dovevamo sbagliare il meno possibile sul mercato. Andò bene grazie alla programmazione e solo dopo sette anni Siviglia ci ritrovammo con due Coppe Uefa, una Supercoppa Europea e una Coppa del Re in bacheca, e con la squadra B in seconda divisione” racconta al Foglio.
Da calciatore Jiménez ha giocato nel Siviglia dal 1983 al 1997, anni in cui la squadra galleggiava a metà classifica, accumulando 354 presenze in Liga: fino allo scorso due novembre era lui il primatista nella storia del club. A superarlo è stato l’attuale capitano Jesús Navas, lanciato per la prima volta nella mischia a 17 anni con la seconda squadra proprio da Jiménez: “È un onore per me che sia stato lui a raggiungere un record del genere. Sin da ragazzo ha sempre dato tutto in ogni allenamento. Non si rimane per caso a certi livelli all’età di 35 anni. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui e anche con dei poco più che sedicenni Sergio Ramos, Diego Capel, José Antonio Reyes e Antonio Puerta. Questi ultimi due accomunati da un triste destino” ricorda Manolo Jiménez.
Identità e programmazione hanno permesso al Siviglia di scalare i vertici del calcio spagnolo e staccare i rivali del Betis. Ma non sono mancati gli scossoni. La promozione di Manolo Jiménez a tecnico della prima squadra è arrivata infatti a pochi mesi dalla tragedia della scomparsa di Antonio Puerta, a soli 22 anni: “Un giocatore straordinario e un ragazzo eccezionale. Fui chiamato ad allenare la prima squadra quando Juande Ramos andò al Tottenham nell’ottobre 2007. Antonio era venuto a mancare a fine agosto e trovai un gruppo che era sprofondato nella tristezza. Riuscimmo, con il tempo, tutti insieme a superare quel momento e a diventare tutti migliori tenendo lui come riferimento. La tragedia ha cementato ancora di più un sentimento forte e nobile come quello del sevillismo” ricorda emozionato. Antonio Puerta era infatti nato e cresciuto a Nervión, quartiere dove sorge lo stadio Ramon Sanchéz Pizjuan. Poco più di un anno fa è scomparso invece José Antonio Reyes, in un incidente d’auto lungo la strada che collega Siviglia a Utrera, sua città natale. Strada dove, beffardamente, si trova il centro sportivo in cui si allenano le giovanili e la prima squadra del Siviglia.
Da allenatore della prima squadra l’avventura di Manolo Jiménez è durata due anni e mezzo. Per lui un terzo posto e una finale di Coppa del Re, che però si disputò due mesi dopo il suo esonero e a vincerla, per gli almanacchi, fu il suo successore Álvarez Giráldez. Rimane il fatto che per Manolo Jiménez “indossare una maglia così significativa è stato un privilegio, il coronamento di un sogno. Certo è che da calciatore devi pensare unicamente alla vittoria e puoi godere di momenti fantastici, come ad esempio l’aver potuto condividere lo spogliatoio con Maradona, nel 1992/93: è stato un grande compagno di squadra e il più forte di tutti, bastava fosse un minimo in giornata per fare la differenza. Mentre invece da allenatore devi saper gestire i momenti, essere un esempio per il gruppo e hai molti più pensieri”.
Come Jiménez, il Siviglia è stato di lotta e ora è diventato di governo. Oggi ha trovato nell’Europa League la sua dimensione naturale dopo cinque trionfi tra il 2006 e il 2016. I meriti dell’ottima stagione li attribuisce tutti al collega Lopetegui: “Julen ha fatto un lavoro fantastico. La squadra ha avuto continuità per tutta l’annata e non succedeva da tempo. In campo hanno un grande equilibrio, soprattutto grazie alla coppia centrale Koundé-Diego Carlos e a Fernando, che da mediano garantisce loro un’importante protezione”. Sulla gara di stasera per Jiménez “forse l’Inter è leggermente favorita per la cifra tecnica ma saranno i dettagli a decidere e sicuramente sarà avvantaggiato chi riuscirà a uscire meglio dalla pressione avversaria e a consolidare il possesso palla”. Reputa decisivo il doppio duello tra i centrali di difesa e la coppia Lautaro-Lukaku: “Il belga me lo ricordo dai tempi della mia prima esperienza all’Aek Atene nel 2010, quando affrontammo l’Anderlecht in Europa League. Ci impensierì tantissimo malgrado fosse giovane e lo feci marcare da un altrettanto giovane Manolas. La difesa del Siviglia ha tutto per affrontare avversari così forti”.
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