il foglio sportivo

Bobby Bonilla, ossia non fare una mazza ed essere pagati

La storia del terza base cacciato dai Mets 21 anni fa e ancora stipendiato. Oggi, per tutta comunità degli appassionati di baseball, è il giorno dedicato a lui

Roberto Gotta

Gli americani hanno questa abitudine di collocare al lunedì tutte le feste non legate a una data precisa, come il Memorial Day e il Labor Day. Altre, però, cadono quando devono cadere. Anche quelle non ufficiali, come il Bobby Bonilla Day, festeggiato ogni primo luglio dalla comunità degli appassionati di baseball di tutto il mondo. È la data in cui Bonilla riceve la tranche annuale del suo contratto con i New York Mets, esattamente 1.193.248,20 dollari. Nulla di straordinario, se non fosse che Bonilla, 57 anni, terza base ed esterno, non gioca nei Mets dal 1999 e non mette piede su un diamante della Mlb dal 2001. Ora, non si tratterebbe della prima persona a ricevere uno stipendio senza lavorare, ma il (non) povero Bobby non è né un nullafacente né un percettore di un reddito di cittadinanza inflazionato: semplicemente, si è trovato nella condizione, vent’anni fa, di ricevere un grazioso omaggio dai Mets, che non lo volevano più ma gli dovevano ancora 5,9 milioni. Invece di darglieli subito, scelsero di pagare a rate dal 2011 al 2035, con un tasso annuo di incremento dell’8 per cento. Un po’ per poter usare immediatamente quei soldi per acquistare un altro giocatore, e un po’ perché quell’8 per cento era molto meno del ritorno del 12-15 che il finanziere Bernie Madoff garantiva sulle enormi somme che la famiglia Wilpon, proprietaria dei Mets, gli aveva affidato.

  

 

Era un semplice calcolo, poi andato a ramengo quando si scoprì la truffa da 65 miliardi di dollari architettata da Madoff, poi condannato a 150 anni di prigione, a migliaia di clienti, tra cui grandi banche. Dunque, al di là dell’aneddoto ridanciano, c’era un progetto, nell’apparente follia, e né i Mets né Bonilla meritano realmente di essere presi in giro. Anche perché frizzi, lazzi e festeggiamenti ironici del primo luglio hanno oscurato un dato certificato dal famoso sito statistico FiveThirtyEight, specializzato nell’analisi approfondita dei numeri: per gran parte della sua carriera Bonilla, vincitore anche di un campionato con i Florida Marlins, è stato pagato MENO di quanto meritasse, e alla fine il suo compenso complessivo è pressoché pari a quello che avrebbe meritato un giocatore delle sue doti, arrivato ai vertici dopo essere stato ignorato dopo il liceo e scoperto da un allenatore durante una tournée con una squadra minore in… Scandinavia. Magari, a influenzare le ironie su Bonilla, ci sono episodi come la volta in cui si presentò in battuta con dei tappi nelle orecchie, per non sentire le contestazioni dei tifosi e il fattaccio che portò alla fine dei suoi giorni nei Mets: nei momenti decisivi di gara 6 della semifinale del 1999, persa contro Atlanta, Bobby e l’esterno sinistro Rickey Henderson, invece di essere in panchina a sostenere i compagni andarono negli spogliatoi a giocare a carte. Lesto di mano, Bonilla dev’essere stato sempre: in occasione della causa di divorzio dalla moglie Millie venne fuori tramite un investigatore privato di nome Vito Carucci che Bobby aveva occultato una parte del suo cospicuo patrimonio per sottrarlo al pagamento degli alimenti. E non per nulla una parte del bonifico del primo luglio finirà alla signora.

   

La curiosità è che il contratto di Bonilla fu il secondo che i Mets strutturarono così: ma la cifra che il lanciatore Bret Saberhagen, classe ’64, percepirà fino al 2029 è di soli, miseri 250.000 dollari annui, roba di cui quasi vergognarsi. Molto più alto il compenso che arriverà a Chris Sale e Max Scherzer, anche loro lanciatori, rispettivamente fino a 2039 e 2028, ma i due sono tuttora in attività, hanno vinto un titolo a testa nell’ultimo biennio e nel loro caso si tratta comunque di somme previste al cento per cento già dal contratto, senza che i rispettivi club, Boston e Washington, debbano inserire a bilancio entrate ipotetiche come quelle madoffiane previste dai Mets. Sale ha fatto la scelta più frammentata: nel 2019 ha firmato un contratto che gli garantisce circa 90 milioni fino al 2025, poi 10 all’anno dal 2035 al 2039, quando avrà 50 anni e, parafrasando quel che a Michael Jordan disse un compagno di squadra, “tutti i soldi che vuole e tutto il tempo per goderseli”.

   

Del resto è perlopiù per atleti di grande livello che si fa ricorso a contratti particolari o premi bizzarri, anche quando siano casuali. Rollie Fingers, ad esempio, fu un grande lanciatore di rilievo, quello cioé che sostituisce il titolare a metà partita, e nella sua carriera, dal 1968 al 1985, non firmò mai accordi degni di scandalo o derisione. Ma i soldi più bizzarri li guadagnò nel 1972, aggiudicandosi i 300 dollari (circa 2.000 di oggi, nemmeno tanti) messi in palio dal proprietario degli Oakland A’s, Charlie Finley, al giocatore che si fosse fatto crescere i baffi più creativi durante il precampionato e li avesse tenuti almeno fino alla prima partita. Era accaduto che il grande Reggie Jackson si era presentato al ritiro con barba e baffi, normali nel resto della società ma anomali nel baseball, visto che solo due giocatori li avevano avuti nei precedenti 80 anni. Infastidito, Finley gli aveva inutilmente chiesto di radersi, ma di fronte al suo rifiuto aveva preso di mira il suo punto debole, il narcisismo: aveva cioè chiesto ad altri giocatori di farsi crescere barba e baffi. Jackson, così ragionava il boss, pur di distinguersi si sarebbe allora rasato. Ma il nuovo look divenne una sorta di codice comune della squadra e allora Finley colse l’occasione, si fece crescere i baffi pure lui e decise di assegnare il premio a tutti i giocatori, non solo a Fingers, che si era ispirato alle foto dei giocatori di baseball di fine Ottocento e inizio Novecento e aveva sbaragliato tutti con un potentissimo paio di baffi a manubrio. Situati tra bocca e naso. Dice: perché, dove dovrebbero essere i baffi? Non si sa mai, visto che lo stesso Rollie, per evidenziare la fame dei giocatori di quel tempo, pagati molto meno di oggi, ammise che “per 300 dollari i baffi ce li saremmo fatti crescere in qualunque parte del corpo, non solo sopra il labbro”. Finley li considerò soldi ben spesi, perché portarono pubblicità e tifosi: istituì presto il Mustache Day, 18 giugno 1972, con ingresso gratuito a tutti gli spettatori con baffi, e gli A’s, grazie anche allo spirito di gruppo creato da quella bizzarra competizione, vinsero addirittura tre campionati di fila, impresa poi ripetuta solo dai New York Yankees tra il 1998 e il 2000. Non solo: la finale del 1972, tra i coloriti, baffuti, imprevedibili Oakland A’s e i più tradizionalisti Cincinnati Reds, passò alla storia come ‘Hairs v Squares’, che vuole più o meno dire ‘Pelosi contro Noiosi’. Il miglior giocatore, con Jackson infortunato, fu il catcher Fury Gene Tenace, all’anagrafe il paisà Fiore Gino Tenacci, che ha preso l’ultimo stipendio nel 2009, 37 anni dopo. Altra clausola bizzarra? Macché: al contrario di Bonilla, Tenace, infatti, non ha mai smesso di lavorare, come giocatore poi allenatore. Con quel cognome, del resto, che poteva fare?

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