il foglio sportivo

Quella storica tripletta

Emmanuele Michela

E' morto oggi Pierino Prati. L'ex attaccante del Milan di Rocco aveva 73 anni. Un anno fa al Foglio sportivo ricordò quei tre gol all'Ajax nella finale della Coppa dei Campioni del 1969

E' morto oggi Pierino Prati. L'ex attaccante di Milan, Roma e Fiorentina aveva 73 anni. Nel 1968 vinse l'Europeo con la Nazionale. Fu il primo giocatore a realizzare una tripletta in una finale di Coppa nel Campioni.

 

Riproponiamo l'articolo uscito nel Foglio sportivo del primo giugno 2019 nel quale Pierino Prati ricordava, a cinquant'anni di distanza, quei tre gol all'Ajax.

  


 

Nella mente di Pierino Prati l’età che avanza ammassa i ricordi, ma non appena salta fuori la finale della Coppa Campioni del 1969 tutto trova un’ordine. E sebbene siano passati 50 anni esatti dal giorno in cui il suo Milan superò l’Ajax di Cruijff, all’ex bomber rossonero si riempie ancora il cuore nel ricostruire la tripletta con cui segnò quel match. Nessun altro, dopo “Pie - rino la peste”, ha mai fatto tanti gol in una finale del massimo torneo europeo, mentre prima c’erano riusciti Di Stefano e Puskas (che ne fece 4, nel ’62). Nomi altisonanti, tra i quali troppo spesso Prati scompare, ingiustamente. Ma il campo gli ha già dato quanto si merita, a partire da quel meraviglioso 28 maggio, stadio Bernabeu. “Spesso mi capita di ripensare a quel che ho fatto, e di meravigliarmi ancora”, dice oggi, 73 anni, nella Cinisello Balsamo che gli ha dato i natali. Prati è cresciuto qui, giocando a pallone in una cascina a Sant’Eusebio, uno dei quartieri più popolari della cittadina dell’hinterland milanese, per poi finire al Milan già all’eta di 8 anni.

 

Non è comune trovare campioni che sin da bambini hanno giocato per il club che poi hanno portato all’apice. Non è comune trovare calciatori che in una finale di un torneo internazionale hanno fatto tripletta: “Il gol che mi è più caro è sicuramente il secondo”, racconta, e nella sua testa riappare il colpo di tacco con cui Rivera lo liberò al tiro, da circa 30 metri. “Quella rete nacque negli spogliatoi: palleggiando prima della gara mi sembrava che il pallone fosse più leggero dei nostri. “Se mi capita, tiro”, mi dissi. E infatti piazzai un destro perfetto”. 20 minuti prima la “Peste” però aveva già colpito, su intuizione prelibata di Sormani (cui poi spettò il gol del 3- 1), mentre nella ripresa il cinisellese siglò pure il poker. Merito, ancora una volta, di Rivera: “Evitò il fuorigioco e andò verso il portiere, ma per saltarlo si allargò troppo e fu costretto a crossare in area. Io, Sormani e Hamrin ci avventammo di corsa da metà campo: sapevamo dove sarebbe finita la palla. Io ero il più giovane e arrivai per primo”. 4-1. E Cruijff? “Si capiva che sarebbe diventato un fenomeno”. Per fermare un giovane tanto ruspante servì un Trapattoni di grande esperienza, che pure fu costretto a concedergli un rigore.

 

Che Coppa Campioni, quell’edizione del ’69. Anzitutto le partecipanti: dall’Est Europa più di un club si ritira a seguito dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia, avvenimento che permette pure al Milan di saltare un turno. Fa specie poi la caratura delle sfidanti che i rossoneri devono affrontare sulla strada per Madrid. Ai quarti compare il Celtic, una delle squadre più leggendarie degli anni Sessanta: “Soffrimmo in casa e fu 0-0”, spiega Prati. “A Glasgow segnai subito in contropiede, poi ci difendemmo bene”. Nel gelo scozzese si avanza e tocca affrontare i detentori del titolo, il Manchester United. Contro Best e Charlton la partita è destinata a diventare una battaglia. “Furono violentissimi”. A San Siro finisce 2-0 per i rossoneri, ma Rivera è costretto a lasciare il campo per un calcione di Law. Al ritorno a cadere a terra è invece il “Ragno Nero” Cudicini: il soprannome gli era stato regalato dal manager rivale Busby per le sue grandi parate nel match d’andata, che però ai tifosi inglesi non vanno giù, tanto che dagli spalti gli lanciano un pezzo di piombo. Ma lui continua a giocare, e sebbene i Red Devils accorcino pure le distanze, alla fine è il Milan ad andare in finale, applaudito pure dai burberi rivali.

 

Frammenti di un calcio in bianco e nero, tanto antico quanto ancora emozionante. Quello dove un ragazzo come Prati poteva diventare capocannoniere di Serie A alla sua prima stagione nella massima serie. “Sono cresciuto nel Milan, che però quando avevo 19 anni mi mandò in prestito alla Salernitana, in Serie C”. Tra i granata Pierino è ancora oggi ricordato con affetto: giocò praticamente solo metà stagione per poi pagare un terribile infortunio. Eppure le sue reti bastarono per portare il club in Serie B, dove lui giocò l’an - no dopo col Savona: “Qui feci 15 gol, in una squadra che aveva una media realizzativa da zona promozione, invece retrocedemmo”. Ma a Nereo Rocco, tornato al Milan nell’estate ’67 dopo l’esperienza al Torino, non erano sfuggite le reti di quell’attac - cante biondo venuto dalla periferia di Milano. “Il giorno che lo incontrai, mi squadrò dai piedi alla testa: avevo capelli lunghi e pantaloni a zampa, come usava all’epoca. ‘T’avevo chiesto un giocatore, non un cantante’, disse all’autista che mi aveva portato da lui”. Le prime gare partì dalla panchina, “ma ricordo bene la prima squadra con cui segnai: il Cagliari, era la settima giornata. Due domeniche dopo feci doppietta, col Lanerossi Vicenza. Da lì in avanti fui titolare, e a fine anno vinsi Scudetto, Coppa delle Coppe e titolo di capocannoniere. E l’anno dopo la Coppa Campioni”. Ecco, ora i ricordi hanno preso ordine, e la genesi di quella tripletta ha un sapore ancora più raffinato. Roba che Best e Cruijff non hanno mai provato.

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