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Ci vediamo ai giardini Mazzola. Il senso di un parco con il nome di un campione

Giampiero Timossi

Il 4 maggio doveva essere inaugurata la targa in memoria del capitano del Grande Torino. Il virus ha rimandato tutto, ma non può cancellarne la memoria

C’è una stagione per ogni cosa, e un tempo per ogni faccenda sotto il cielo. Questa è la storia di un parco che ha il nome di una leggenda, Valentino Mazzola. Lo apriranno a Torino, in piazza Galimberti. Se hai le gambe lunghe fanno più o meno cento passi dal Filadelfia, lo stadio del cuore granata, quello che è stato del Grande Torino ed è tornato a essere del Toro del presidente Urbano Cairo. È una casa dove non hanno mai fatto entrare la rassegnazione. Qui hanno coltivato l’idea di non fermarsi, neppure quando manca un quarto d’ora, un minuto, un secondo alla fine. A Torino, parco Valentino Mazzola mancava da 70 anni. Ora fanno 71, ma a questo punto inizia un altro sentiero e bisogna provare a raccontarlo. Sono i passi di una leggenda contemporanea, qualcosa di diverso rispetto a una storia che non tramonta. Mai rassegnarsi, anche quando sono trascorsi 71 anni: 4 maggio 1949, un Fiat G. 212 vola troppo basso, si schianta sulla collina torinese di Superga e uccide la prima vita del Grande Torino. Quei ragazzi avevano già vinto quattro scudetti consecutivi, segnato 125 gol in un solo campionato, da sei anni erano imbattuti al Filadelfia. Il 2 maggio 1948 scrissero un record che ancora resiste: mettere la palla in rete, sei volte. In quindici minuti. Un anno e due giorni dopo “scelsero il Paradiso, perché al mondo non c’era più nessuno da battere”, ha scritto questo 4 maggio Andrea Belotti, il capitano del Toro, consegnando ai suoi profili social(mente) utili la memoria degli Invincibili.

  

Poche parole, un’altra finestra che si apre sul cortile. “Se hai bisogno, chiama”, ha scritto Raymond Carver. Racconti, che non sono più banali post, tweet o il cielo sa che cosa. Durante il lockdown la rete è diventata più umana, anche e soprattutto quando ha navigato sulle rotte dello sport. Meno esibizioni, più riflessioni. E meno “attacchi”, almeno all’inizio, offrendo l’immagine di un paese rivolto verso i ricordi di un tempo migliore. Rimanendo in casa, qualcuno ha studiato anche i flussi sui motori di ricerca. Così ha scoperto quanto gli italiani avessero voglia di riguardare i volti felici del calcio azzurro: il trionfo in Germania, nel 2006, ma anche quello di 24 anni prima in Spagna, correndo all’indietro fino ad Argentina-Italia del 1978. Il Grande Torino già c’era, anche in questa dimensione fatta di un mito antico che rapisce (anche) i giovani, maglie color melograno, film immagini sui social, graphic novel.

  

Aveva ragione Fabrizio De Andrè, fede genoana e un fratello avvocato dal cuore granata. Aveva ragione quando cantava che “a morire di maggio ci vuole tanto, troppo, coraggio”.

 

Ora il coraggio è quello di saper aspettare, un passo alla volta, sul sentiero della memoria.

 

Parco Valentino Mazzola, a Torino, si sarebbe dovuto inaugurare il 4 maggio 2020. Aspettava una targa da 71 anni. Tutto era deciso, organizzato, pronto.

 

Il 4 maggio non è mai un giorno come gli altri. Questa volta l’Italia iniziava a riaprire la porta di casa, partiva la Fase 2. Dietro quella porta, per due mesi, molte cose hanno cambiato prospettiva. Il calcio, per esempio, ha iniziato a rendere ancora più evidente il suo ruolo narrativo. Diventando una storia da ricordare e non un evento da consumare. Giurava il primo governo Berlusconi? La stessa sera il Milan vinceva la Coppa dei Campioni. L’esecutivo del premier milanista emanava il decreto Biondi? La rabbia dei sostenitori del pool Mani Pulite perdeva per qualche ora la sua carica, distratto da un’Italia “sacchiana” capace di battere la Bulgaria in un’estate americana, Mondiale 1994. Per non parlare di quella volta, quarant’anni fa, quando l’altoparlante interruppe Hajduk Spalato-Stella Rossa per annunciare alla Jugoslavia che era morto il maresciallo Tito. Calcia e riavvolgi.

  

Tracce, che si incrociano e rincorrono. Forse il caso non fa sempre cose sbagliate. Adesso in fondo a questa storia, alla fine del sentiero, scopri che il 4 maggio ai tempi del coronavirus ha saputo ricordare il Grande Torino con una diretta social capace di diventare stadio ed entrare in quarantamila case. Non c’era e non doveva esserci la folla di Superga. E non c’è stata l’inaugurazione decisa alla fine agosto, un anno fa. Dicevano: parco Valentino Mazzola sorgerà a Borgo Filadelfia, tra gli alberi che stanno in mezzo a piazza Galimberti a Torino. E aggiungevano: sarà inaugurato il 4 maggio 2020. Non si poteva, non si doveva. Quando il tempo malato sarà guarito scopriranno la targa. Ci saranno i tifosi granata e il figlio Sandro Mazzola che due anni fa rilanciò con forza l’idea. Ci sarà un mare di gente. Si farà appena sarà possibile. Bisogna aspettare, mai rassegnarsi. Un’estate fa decisero di dedicare un parco al capitano degli Invincibili. Un parco, non una via. Non tutti erano convinti. “Una via sembra più consona, più rispettosa, una strada sarebbe meglio, magari quella che porta al Filadelfia”. Ma allora nessuno immaginava come gli alberi di un parco sarebbero diventati, oggi, un simbolo di libertà riconquistata. Una faccenda sotto il cielo, dove la luna spunta tra i rami. Colpiscila al volo, Capitano.

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