il foglio sportivo

La lotta di Chamizo per la medaglia

Giorgio Burreddu

Ha imparato a “essere contento per ciò che arriva”. Ma vuole vincere tutto. Parla il campione italo-cubano di lotta libera

Il nuovo Frank gestisce meglio le cose, si accontenta. Quello vecchio avrebbe detto no, non va bene, e con un argento o un bronzo sarebbe andato nel panico. Adesso no, ho imparato a gustare il sapore di una medaglia”. Si lotta per amore, onestà e successo. Ma è sempre contro se stessi che si combatte la vera battaglia. Lo sa anche Frank Chamizo, che dall’ingordigia è passato al gusto per le piccole cose, persino per le medaglie che hanno un colore diverso dall’oro. L’ultima nella lotta ai Mondiali in Kazakistan, a settembre, è stata d’argento. Frank poteva essere il primo lottatore della storia a infilare il tris mondiale in tre categorie diverse, ma la finale dei 74 kg se l’è presa un russo. Nel frattempo, però, è arrivato il pass per i Giochi di Tokyo, il vero obiettivo del Mondiale. “Sto imparando a essere contento per quello che arriva – racconta Chamizo – Ora la cosa più importante è prendere una medaglia, e quando riesci a digerire questa cosa vuol dire che sei al massimo, che hai trovato un equilibrio, che gestisci meglio ogni cosa. Nel 2018 rimasi fuori dalla finale mondiale, arrivai quinto, ero distrutto, forse è lì ho capito davvero il valore delle cose, il peso che può avere una medaglia”. Aveva sette anni quando entrò in una palestra, scoprì la lotta e dentro ci vide tutto. La possibilità di un riscatto e la gioia, l’adrenalina e il coraggio. Ma anche qualcosa di più semplice, di affettuoso.

  

“Per me la lotta è come una seconda mamma, e mi ha salvato”. La prima mamma, quella che lo ha messo al mondo, viveva in Spagna e tornava a Cuba solo ogni quattro o cinque mesi, papà invece stava negli Stati Uniti dove si era risposato. Frank è venuto su per le strade sgangherate di Cuba con la nonna Omaida, “la persona che ha cercato di tirarmi sempre fuori dai casini”. Il percorso di Chamizo è sempre stato quello della lotta, l’estensione del dominio nella sua anima lo ha portato a farne uno sport, e poi a trovare anche un modo per entrare nella leggenda. Soffriva per l’assenza della famiglia, per la ricerca di un posto nel mondo, per la povertà. La lotta ha risolto ogni cosa. “A scuola combinavo sempre dei casini. C’era una mia compagna che mi passava i compiti in classe, una volta mi beccarono e io scappai buttandomi dal secondo piano. Mi sospesero per due settimane”. Poi arrivò la sofferenza per la squalifica con la Nazionale cubana. Lo bloccarono per una questione di peso, cento grammi in più e la decisione di fermarlo. Chamizo fece le valigie, venne in Italia, cercando un’altra lotta da affrontare. La sua fidanzata era un’atleta italiana, si erano conosciuti al centro di Ostia a un torneo internazionale. Erano giovani, lui venti e lei diciotto. Dopo la squalifica fu lei a spingerlo a venire nel nostro paese, a ricominciare, con la lotta Frank aveva quasi smesso, gli era venuta pure la pancia, si era lascito andare, e allora decisero di sposarsi perché era l’unico modo per poter venire via da Cuba. “Da bambino non ho avuto il calore famigliare che tutti i bambini meritano, e allora qualsiasi problema avessi l’ho sempre affrontato con la lotta, è sul tappeto che ho sempre risolto le questioni. È tutto lì, è per via della lotta che ho fatto tutto e faccio tutto”.

 


Frank Chamizo (foto LaPresse)


 

L’Esercito e la federazione hanno fatto il resto, lo hanno aiutato a crescere. Nonna Omaida, che adesso ha 79 anni, Frank la sente ogni giorno. Si telefonano, lei sta a Cuba, e ogni volta gli ripete la stessa frase: “Sei il numero uno, picchiali tutti”. Quando non sta a Roma, Chamizo passa del tempo a New York. Prima aveva un posticino a Manhattan, poi si è trasferito in un appartamento nel New Jersey che è meno costoso e bellissimo lo stesso. “Sono uno a cui piacciono le feste, mi piace la vita movimentata, mi piace sempre essere a cento, a mille. A New York la vita è velocissima, rapida, ma anche costosa, e quindi dipende molto da quello che ti puoi permettere. Però una volta che prendi il ritmo lì è davvero bello. Penso allo sport. Ma quando me lo permette riesco davvero a godermi questa cosa, questa vita, io amo il ballo, la musica, amo la trap, il rap, e qui c’è tutto quello che vuoi. Vuoi una festa? C’è. Vuoi un concerto del tuo artista preferito? C’è. Sei nel cuore delle cose, ci sei in mezzo, nei flussi che scorrono”. Il suo papà vive ad Atlanta, ogni tanto Frank lo va a trovare. “Siamo stati distanti troppo tempo, anche se ci siamo sempre sentiti telefonicamente. Non è la stessa cosa. Adesso quel tempo perso ce lo riprendiamo”. Non ha imparato ad avere pazienza, “quella è una cosa che ho per tante cose, ma la pazienza secondo me è una cosa relativa, la devi guardare sempre dal punto di vista che ti permette di averla”.

 

Da bambino aveva due sogni: vincere un titolo mondiale e vincere l’Olimpiade. Vincere, sempre vincere. A Rio, nel 2016, Frank dovette lottare anche contro gli déi, e infatti finì per scottarsi con un bronzo. “Guardavo il podio e dicevo ‘ma cosa ho combinato?’, e mi sentivo isolato, non mi trovavo né in cielo né in terra. In pochi giorni però ho digerito tutto, e sono andato avanti. Rio è stato uno scherzetto del destino, qualcosa che non so spiegare così bene. Ma posso dire che l’Olimpiade non è quello che tutti pensano, non basta dire che spingere forte ti può aiutare, non è così facile”. E’ molto, molto di più. A 27 anni, molte notti insonni dopo, lo ha capito, ed è per questo che a Tokyo sarà il nuovo Frank, che sa gustarsi i momenti. Sarà diverso. Lui, il suo approccio, il suo modo di lottare. “Quando arrivai a Rio avevo vinto tutto: Mondiali, Europei, ero più pronto che mai. E invece no, non è così che funziona. L’Olimpiade è un giorno particolare, è un giorno in cui Dio o chi c’è lassù non concede la fortuna a nessuno, è una cosa molto grande, e anche se ti prepari, se arrivi lì, e sei fortissimo, il più forte di tutti, non basta. Ci vogliono una serie di cose più profonde, devi persino avere la coscienza pulita, sapere che in un futuro magari verrai punito per quello che pensi, io quando stavo lì pensavo wow, sono al di sopra di tutti, sono il migliore. Non è bastato, non bastava”. Chamizo è il primo lottatore della storia ad aver conquistato il podio in quattro categorie: dal bronzo nei 55kg all’argento nei 74. E la differenza sulla bilancia è clamorosa: 19kg. Solo il liberista sovietico Medved tra Tokyo ’64 e Monaco ’72 conquistò 7 podi iridati. Chamizo è già a 4. Adesso il vero obiettivo sono i Giochi 2020, anche se la pressione è diversa da quella di quattro anni fa. “Non ci penso proprio, me lo voglio godere come se fosse un giorno come tutti gli altri. Sono il numero due del ranking, ho voglia di allenarmi, voglio tornare a essere il ragazzo che non sa niente di lotta e impara tante cose. Al Mondiale ho preso un sacco di botte, al tallone, al ginocchio, mi devo curare e rimettermi in sesto, ma ho voglia di allenarmi e di girare un po’. Ho voglia di andare a prendere un po’ di botte”. Il momento di darle arriva sempre. Nonna Omaida l’ha sempre saputo.

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