Illustrazione di Osvaldo Casanova

L'universo in una boccia

Giovanni Battistuzzi

Il quadro di Matisse, i Mondiali, le mille bocciofile d’Italia. Storie, leggende e campioni di un gioco che non è solo una “cartolina del paese”, ma anche lo sport più europeo che ci sia. Parla Gianluca Formicone

Di lui non capiva soprattutto una cosa: perché passasse così tanto tempo seduto su una panchina di quel giardino desolato, dove piccole isole d’erba sembravano galleggiare in un mare di terriccio polveroso. Non che glielo avesse mai chiesto, la sua era una curiosità discreta, di quelle che non hanno necessità di domande. D’altra parte lo conosceva bene e poteva immaginare la risposta, la solita che dava a ogni perché indagatorio sulle sue abitudini: “Una palestra dello sguardo”. Non rispondeva sempre così? Gli interrogativi lei li affidava ai confidenti, soprattutto quelli lontani con pochi rapporti con l’interessato. “Non so cosa ci possa trovare uno come lui nell’osservare gente intenta a lanciare quelle sfere di legno”, scrisse Geltrude Stein al romanziere Thornton Wilder. Ma ogni curiosità prima o poi deve essere fugata e lei trovò il coraggio di fargli quella domanda “in una sera di settembre, al parco, mentre lui guardava attentamente quattro persone giocare”. La risposta di Henri Matisse fu più semplice di quello che lei si aspettava: “Non è nient’altro che un corso accelerato per capire il corpo, come si muove”, fece sapere qualche mese dopo la scrittrice all’amico romanziere, sempre in una lettera.

 

Il pittore si era accostato alle bocce per vicinanza: erano anni che dalla finestra del suo studio vedeva gente lanciare sfere di legno. Erano profili tra gli alberi, figure in lento movimento, qualcosa che non aveva mai colpito troppo né la sua fantasia, né tantomeno la sua curiosità. Fu solo quando si avvicinò loro, si sedette su di una panchina e iniziò a osservarli che colse di tutto questo insieme la bellezza. Li studiò prima, poi decise di dipingerli a suo modo.

  

Matisse completò “Giocatori di bocce” nel 1908. Poi, per diversi anni, continuò a osservare chi giocava. E molto spesso prese parte pure lui alle partite di quel gioco che “è un po’ arte”, che “sembra fatto apposta per studiare il movimento”.

 


Matisse, Giocatori di bocce


 

Oltre un secolo dopo i giocatori di bocce non sono spariti come temeva Georges Simenon negli anni Settanta: “È preoccupante la notizia della chiusura di molti bocciodromi – disse alla tv francese – Abbandonare le bocce vuol dire abbandonare la storia del gioco”. Oltre un secolo dopo le bocce godono di ottima salute. Negli ultimi vent’anni – dice l’istituto di statistica d’Oltralpe – in Francia i campi per giocare sono aumentati di quasi il 25 per cento, i giocatori occasionali sono più che triplicati. E anche in Italia, dopo anni di calo, stanno aumentando sia i giocatori saltuari, sia gli iscritti alla Federazione.

 

“La storia del gioco” – in Turchia sono state ritrovate sfere del tutto simili alle bocce risalenti al 7000 a.C., in una tomba in Egitto ne sono state scoperte diverse databili al II secolo a.C – è dunque salva. E ogni giorno passa attraverso un paio di occhiali tondi poggiati su di un naso coppiano. Su di una bicicletta Bianchi il professore di storia, Philippe Lesserdune, si muove tra Montparnasse, dove vive e insegna, e il Jardin du Luxembourg. Lì ha la “ghenga delle bocce” e lì, ogni settembre, porta i suoi studenti. “Ho preso questa abitudine perché credo che per comprendere cos’è la storia è utile partire dall’osservazione di questo gioco. Serve per afferrarne le sfaccettature, la complessità di certe dinamiche politiche”, dice al Foglio Sportivo Lesserdune. Perché è un gioco complesso, “molto simile agli scacchi almeno per strategia, ma che ha una componente che gli scacchi non hanno: la casualità. A volte basta un sassolino appuntito per deviare anche il colpo migliore. Un po’ come capita nella storia: un piano o una tattica militare lungimirante, può risultare inefficace a causa di un imprevisto banale”. Lesserdune a bocce gioca da quando aveva dieci anni. Uno fra i suoi tanti passatempi. Come le scampagnate in bicicletta, come le partite a basket con gli amici, come i voli col parapendio. “Una passione che mi ha trasmesso il nonno. Ho iniziato ad appassionarmi guardandolo, poi ho cominciato a giocare con lui e i suoi amici”. Ma non è solo un gioco per vecchi come qualcuno pensa. “Magari 25 anni fa, poteva anche essere così, ma ora no. In questi anni, almeno in Francia, si è ribaltata la percezione delle bocce. Basta farsi un giro nei parchi per capirlo. È pieno di gruppi di ragazzini che ci giocano. Non è più considerato qualcosa di antico, anzi. Perché al campo chiacchieri, ti bevi due birre e se hai bambini li lasci scorrazzare nel parco”. È forse questa la maggiore differenza con il nostro paese dove le bocce rimangono prevalentemente rinchiuse nelle bocciofile o relegate alle partite estive in spiaggia.

 

Un gioco che “è meraviglioso, perché si può giocare ovunque, su ogni terreno, in spiaggia come al parco, che unisce generazioni diverse. È forse il gioco più europeo che esiste, fa cadere qualsiasi barriera, sia linguistica che fisica. Perché non importa che tu sia in forma, non conta che tu sia in piedi o in una sedia a rotelle, conta il lancio. E tra un lancio e l’altro si discute, ci si sta a sentire”. Un gioco e basta: “Che ti permette di staccare dal mondo, dalla quotidianità, perché ti impone di concentrarti su quello che fai”. Un gioco ma non solo: “Perché per me non è altro che un sollazzo, ma le bocce hanno anche una dimensione competitiva. E quando vedi giocare i professionisti capisci che quello a cui giochi tu non è quello a cui giocano loro. Non che le regole siano diverse, è una questione di qualità. I professionisti sono un po’ scacchisti e un po’ tiratori con l’arco, hanno le capacità strategiche dei primi e la precisione dei secondi. Non ci si improvvisa giocatori di bocce”.

 

È dal XIX secolo che le bocce sono considerate uno sport. In Italia è dal 1919 – da quando l’Ubp (Unione bocciofila piemontese), la prima associazione “professionistica” nel territorio nazionale, superò i confini regionali e diventò Ubi (Unione bocciofila italiana) – che esiste un campionato. Un torneo (la Serie A è composta da 16 squadre divise in due gironi da otto: le prime 4 vanno ai playoff, le ultime 4 ai playout, 2 retrocedono), che “è molto seguito, riesce a riempire i bocciodromi praticamente ovunque. Centinaia di persone ogni sabato pomeriggio e migliaia in collegamento in streaming”, dice al Foglio Gianluca Formicone, il più forte boccista al mondo. Nell’ultimo campionato di Raffa, una delle discipline delle bocce, ha trascinato la Mp Filtri Caccialanza alla vittoria. E questo è solo l’ultimo trofeo messo in bacheca. A marzo si era laureato campione del mondo al Mondiale di San Miguel de Tucumàn (Argentina). Il primo titolo individuale dopo sette a squadre. E poi nove Europei, nove titoli italiani, medaglie d’oro ai Giochi del Mediterraneo e ai World Game e 288 gare nazionali conquistate. Nessuno come lui. “Perché a bocce si continua a giocare in Italia e anche bene. A livello internazionale siamo ai massimi livelli e anche a livello giovanile andiamo forte, le nuove leve promettono molto bene. C’è futuro per le bocce in Italia, è uno sport che ha seguito e affascina ancora i giovani”.

 

Perché le bocce sono “un pezzo d’Italia, una cartolina del nostro paese che non potrà mai offuscarsi. I bocciodromi li trovi ovunque e ogni nipote ha visto il nonno con le bocce in mano, magari anche solo al mare”, dice al Foglio Rodolfo Menegon, ottantanovenne di Treviso, in passato uno dei boccisti più forti della Marca, “ma solo lì perché ho paura di volare e ho il mal d’auto. Sono un contadino da sempre, gente che deve stare ferma nella sua terra. Ma in zona per almeno trent’anni si contano sulle dita di una mano quelli che mi hanno battuto”. Nei suoi occhi verdi laguna di bocce ne ha viste rotolare tante, “e tutte allo stesso modo. Ovunque. In Francia come in Veneto, a Napoli come a Milano. Questo gioco, perché io così sempre l’ho considerato, un gioco meraviglioso che ti dà la possibilità di immaginarti l’universo fermo in un campo in terra battuta, ha le stesse regole del cielo e della vita. È tutto uno scorrimento, tutto può essere spazzato via in un momento e devi essere astuto per dare la sbocciata e non subirla”.

 


Illustrazione di Osvaldo Casanova


 

Uno sport che “richiede sacrifici”, un po’ perché non di sole bocce si riesce a vivere, “nonostante i professionisti ricevono un compenso dalle squadre e i premi siano cospicui”, sottolinea Formicone. Soprattutto perché per competere a grandi livelli “c’è bisogno di preparazione mentale e fisica”. E poco importa se i boccisti, almeno per sembianze fisiche, non sempre si avvicinano all’immagine che abbiamo dello sportivo, “ma la preparazione è importantissima e richiede allenamento costante. Schiena, braccia e gambe devono essere forti, perché è un gioco di precisione, certo, ma la precisione la si ottiene solo quando il tuo corpo è preparato. Solo quando il fisico non è in affanno si può avere la testa libera per valutare al meglio il da farsi”, dice il campione del mondo. “Le bocce sono uno sport di tecnica, tattica e strategia. E la testa fa il 60 per cento del campione. C’è bisogno di essere concentrati per tutta la gara, una concentrazione creativa che ti permette di cambiare strategia in corsa, di improvvisare quando serve”. E un po’ psicologi, perché è indispensabile “saper leggere anche nella testa dell’avversario, capire a cosa sta pensando e nel frattempo già immaginare gli sviluppi successivi del gioco. E più riesci a farlo velocemente, meno ti affatichi mentalmente. È questo il crinale che separa un buon giocatore da un campione: la capacità di farsi guidare da una sorta di istinto razionale. E questo per ogni disciplina delle bocce”.

 

Perché la si fa sempre facile quando si dice “gioco a bocce”. Bisogna però vedere a che bocce si gioca. Tre sono le specialità che si possono incontrare nei bocciodromi: Raffa, Volo e Pétanque. Tre modi diversi di intendere il gioco delle bocce, tre discipline con le loro regole, le loro particolarità di tiro, le loro zone di diffusione.

 

La Raffa – la più diffusa in Italia – forse è la regina delle bocce, “la disciplina più completa e più difficile, la più tattica, quella nella quale la strategia fa la differenza”, spiega Formicone. Si può giocare da soli, in coppia e in terna e ogni boccista deve lanciare dalla linea di pedana indicando all’arbitro i pezzi che intende colpire (pallino, boccia del punto, boccia del secondo punto e via così) e tutti i pezzi situati entro 13 cm da quello indicato sono validi.

 

Nel Volo invece si traccia una riga di tiro a 50 centimetri dalla boccia dichiarata e il tiro è regolare soltanto se il punto di caduta si trova entro quella distanza. E prevede tre prove speciali: tiro di precisione (si deve centrare una boccia posta a diverse distanze progressive senza colpire le bocce-ostacolo), punto e tiro obbligati (si devono posizionare più sfere dentro un cerchio di 70 centimetri dal boccino), tiro a navetta (in cinque minuti si devono colpire il maggior numero di bocce poste dall’altro lato del campo continuando a correre avanti e indietro per lo stesso).

 

E infine c’è la Pétanque che è la versione francese e a piedi immobili del Volo.

 

Ogni luogo ha le sue bocce. Ogni boccia le sue regole. Ma esistono bocce e regole non scritte, quelle che si giocano nelle mille bocciofile italiane, quelle animate da storie e leggende antiche come questo gioco. “Ogni bocciofila vive di un’esistenza propria: la somma delle sfide che uno perde nella vita”, sospira Menegon.

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