A Tokyo pensando a Tokyo. Il tatami di Odette Giuffrida

Giorgio Burreddu

Iniziano i Mondiali di judo nella stessa città nella quale si svolgeranno le Olimpiadi del 2020. Parla la medaglia d'argento di Rio 2016 nella categoria 52 kg

Si svegliò nel cuore della notte, erano quasi le tre, forse le quattro, “non ricordo bene”, e trovò Fabiola, la sua mamma, ancora sveglia e con l’asciugacapelli in mano e i vestiti umidi da far asciugare sulle ginocchia. “Dovevo partire per una gara e lei stava finendo di asciugarmi i panni ancora umidi. Papà Giuseppe si faceva tre ore di macchina per portarmi a un allenamento. La mia famiglia è sempre stata la mia forza e quando mi sento stanca, arrabbiata, quando mi sento giù ripenso ad alcuni di quei momenti e stringo i denti, trovo la forza e vado avanti”. Odette Giuffrida lo farà anche a Tokyo, lì oggi, domenica 25 agosto, cominciano i Mondiali di judo e per le medaglie ovviamente si punta moltissimo anche su di lei. Come sempre, come tutte le volte che si parla di judo azzurro. E d’altra parte è un anno importante per la Giuffrida, per l’Italia della lotta “è l’anno olimpico – racconta Odette al Foglio Sportivo –, quindi è un anno bello, intenso, e poi io sono reduce da molti infortuni, il mio corpo comincia a risentirne, non posso più ammazzarmi di lavoro come facevo prima, devo stare più attenta e gestirmi. Però voglio anche spingere, dare il massimo: a quest’ora tra un anno sarà già tutto finito”.

 

Questo Mondiale in Giappone è una sorta di prequel dei Giochi 2020. In questi giorni lei e i suoi compagni di nazionale hanno ballato e cantato alla festa del coraggio e Odette ha postato sui suoi social un sacco di foto, video e facce buffe. Da domani però si fa sul serio, e il fatto che le gare si svolgano nella capitale del Giappone, proprio come accadrà all’Olimpiade, non è un fatto secondario. Anche di questo, dunque, ci si preoccupa. E Odette non lascia nulla al caso. “Nel judo le cadute le devi imparare in fretta. Sono fondamentali, come le sconfitte. Ne ricordo tante: la prima gara che persi da esordiente fu un grande insegnamento”. Sta imparando a mollare, a lasciar andare, a spingere meno sull’acceleratore, Odette. “Sono molto testarda, ma sto migliorando, con il tempo lo sto facendo. Ero una di quelle che passavano tutto il tempo sul tatami. Ora ho capito che ci vuole anche il riposo”.

 


Foto LaPresse


 

L'importanza della competizione l’ha imparata da bambina. “Ho dei ricordi di me piccolina che non stavo ferma un attimo, sfidavo tutto e tutti, me stessa in particolare. Per esempio: abitavamo al terzo piano e mi inventavo competizioni immaginarie, tipo arrivare in cima senza respirare o cose del genere. Ero così, adesso lo sono meno”. Ha imparato a togliere le mani dalla presa elettrica, non puoi vivere sempre attaccata a tutti quei watt.

  

Papà siciliano, mamma di origini calabresi, un nonno svizzero. Due fratelli, Salvatore e Christian, quello che partecipò a Campioni su Italia Uno. “Li adoro, siamo uniti. Salvatore mi avviò al judo, ma per fortuna si è laureato in marketing: mamma è contenta. Christian? In prima media le compagne mi chiedevano il suo autografo. Mi è dispiaciuto che non sia riuscito a realizzare il sogno di giocare in serie A”. Porta il nome della nonna, che avevano chiamato Odette perché il bisnonno era affascinato dalle eroine francesi, “una guerriera, e mi calza a pennello: sono tipo alla Mulan”. Però con il veleno addosso. Ancora oggi, la chiamano Veleno. Il soprannome gliel’avevano dato nella sua vecchia palestra, a Talenti, nel cuore di Roma. “Mamma doveva prendermi per i capelli perché non stavo ferma un momento, avevo il veleno addosso”. Di più. Odette aveva l’immaginazione giusta per sognare un po’ più in là. Anche quella la alleni, ma devi avere costanza, pensare, soffrire. Lei tutti i giorni leggeva la frase che i suoi maestri avevano scritto sulle pareti della palestra: fai della tua vita un sogno e di un sogno la realtà. “Devi avere uno scopo, altrimenti è difficile. Il bello della vita è capire perché stiamo qui, e io penso di averlo trovato. Vivo per il mio sogno, senza dimenticare il resto”. Credente al punto da definirsi un’Atleta di Cristo, dice Odette che la fede è “come l’amore: non lo puoi spiegare, non lo vedi, è una sensazione che trovi dentro e ti fa vivere tutto in modo gioioso”. Anche questa attesa estenuante che la condurrà a Tokyo tra un anno. “Non vedo l’ora, mi manca un po’ quell’emozione. Ho tanto nella mia testa, voglio dimostrare”. Vuole dimostrare che quell’argento che conquistò a Rio, in fondo, può trasformarsi un sogno più prezioso, luccicante. “C’è un bel po’ di rammarico. Ricordo che nonna Giovanna mi regalò un rosario, e io prima di ogni incontro lo stringevo forte forte, sul podio tenevo il rosario in una mano e la medaglia nell’altra. Però ero confusa, ci ho messo qualche tempo per capire. Dopo l’incontro mi ero dimenticata tutto, i vestiti, stavo in ciabatte e coi capelli ancora bagnati, Fabio Basile mi aveva prestato una giacca della tuta, io volevo rivedere i video ma non c’erano. Il giorno dopo stavo ancora nel mio mondo, due mesi dopo ho realizzato. Qualche giorno fa, a tre anni da quell’incontro, non riuscivo a smetterla di piangere”. Nostalgica forse, ma consapevole del fatto che poi, alla fine, “tutto accade sempre per una ragione”.

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