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Senza appartenenza non si capisce il Palio di Siena

Mauro Berruto

Cronaca innamorata di un non senese nei giorni di attesa prima della mossa in Piazza del Campo. La “guerra” tra Contrade, la storia, e tutti i tentativi di comprarsi anche la sorte

[Anticipiamo un articolo del numero del Foglio Sportivo in edicola domani e domenica. L'edizione di sabato 17 e domenica 18 agosto la potete scaricare dalle 23,30 di venerdì 16 agosto qui]

 


 

Siena, esterno giorno. Via di Camollia, luce radente di mattina presto. Molto presto per essere estate. “Se alla Torre va Carburo, a me ‘un mi garba”. “Io vorrei Penelope Preziosa, però Porto Alabe ad agosto ha vinto due anni a fila!”.

 

Queste parole si alzano da un gruppo di ragazzini che avranno sì e no dieci anni, tutti con il fazzoletto dell’Istrice al collo. Non parlano di calciomercato: Carburo è un fantino, Penelope Preziosa e Porto Alabe, cavalli.

 

Sono le 8.00 del 13 agosto, il primo giorno di Palio, ovvero la mattina dell’attesa, la giornata più di tutte decisa dalla sorte. Alle 9.00 in Piazza del Campo iniziano le ultime batterie di selezione dei 35 cavalli rimasti, condotti da fantini che vestono la divisa bianca e nera del Comune. Al termine delle batterie i Capitani delle Contrade si riuniranno per scegliere i dieci cavalli che correranno il Palio dedicato alla Madonna dell’Assunta del 2019, quello del meraviglioso drappellone disegnato da Milo Manara. Verso le 13, davanti al Palazzo Comunale, la sorte assegnerà a ciascuna Contrada il proprio cavallo. È uno dei momenti più drammatici del Palio, nel senso etimologico del termine: ovvero che muove, teatralmente, all’azione. Da lì in poi, tutto si metterà in moto.

 

La sorte. “La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no, e allora si perde”. La citazione è tennistica, tratta dal film Match Point di Woody Allen, ma a Siena proprio nessuno ha questa paura.

 

Tutti sanno che è la sorte la vera sceneggiatrice del Palio. Per questo, nei due momenti in cui davvero la sorte fa la differenza, in Piazza del Campo scende un silenzio difficilmente descrivibile. Personalmente ho sentito un silenzio del genere solo in un’altra occasione: l’attimo precedente all’uscita dai blocchi alla finale dei 100 metri ai Giochi Olimpici. Il primo di questi due momenti è quello che precede l’estrazione dell’accoppiata cavallo-contrada. Sulla Piazza scende un silenzio irreale, si sente perfino il rumore del bussolotto aperto dal Sindaco. Il primo verdetto della sorte arriva: Violenta da Clodia va alla Torre. I contradaioli in piazza esplodono, corrono verso il cavallo urlando di gioia. Il cavallo l’è bono! Sarà così anche per la Selva, Istrice e Onda, mentre il popolo delle altre contrade mascherando, ma neanche troppo, il disappunto si avvicina silenzioso e smoccolante perché il cavallo è una brenna o un esordiente. Poi, ricevuto il cavallo e affidatolo al Barbaresco, colui che vivrà in simbiosi con l’animale nei quattro giorni successivi, il popolo lo scorterà verso la Contrada, cantando in ogni caso: Lo sappiamo che ‘un lo volete il nostro (e qui ognuno inserisce il proprio vezzeggiativo: Aquilone, Istricione, Panterone e così via) ma per forza e per amore lo dovete rispettare. In poche ore si identificherà una strategia (correre per vincere oppure per far perdere la nemica) e si definirà l’accordo con il fantino ritenuto giusto per quel cavallo e per quella strategia. I fantini, però, passano. Possono addirittura cambiare nei giorni che precedono la corsa. Il cavallo no, e come noto potrà vincere scosso, arrivando senza fantino in groppa.

 


Illustrazione di Cinza Franceschini


  

Il secondo momento dove la sorte regnerà sovrana sarà alla mossa, il giorno del Palio, quando, mescolate dentro a una fiasca, le dieci palline di legno con i colori delle Contrade determineranno l’ordine di partenza. Nessuno vede, nessuno sa fino all’apertura della busta che, scorrendo sopra un fiume di teste, arriverà nelle mani del mossiere. Ecco il secondo momento di silenzio assoluto di una festa rumorosa come il Palio. Chi è in piazza sospende anche l’atto della respirazione. Una buona posizione, o il fatto di essere di rincorsa (la posizione fuori dai canapi che determina la partenza decidendo il momento in cui entrare) o ancora il finire vicino a una nemica, farà davvero la differenza. Con la sorte, d’altronde, non si scherza e soprattutto non si scende a patti. I partiti (nome che suona attualissimo e che indica tutti quegli accordi che si fanno per tentare di orientarla) sanno di dover rispettare l’unica regola: al Palio decide la sorte. Si tenta di controllare tutto, anche di comprarla fino all’ultimo quella sorte. Tutti ci provano, sapendo che è impossibile. Sarà l’imponderabile, l’incontrollabile a decidere il sapore di lacrime che sapranno di felicità o di disperazione.

 

I dieci assassini. I fantini, a Siena, sono considerati un mezzo, non un fine. Tutto si può chiedere a un fantino, sapendo che, in cambio, ci si potrà aspettare di tutto. Sarebbero migliaia le storie da raccontare di quei dieci assassini (li chiamano così non per caso) che entrano fra i canapi. Mercenari, gente corazzata nel corpo o nell’anima, che non sente nerbate, botte, cadute. Gente di gomma, ti dicono a Siena facendo probabilmente riferimento sia a una miracolosa capacità di non subire danni fisici in occasione delle frequenti e rovinose cadute sul tufo, sia a una certa dose di trasformismo. Il fuoriclasse della storia del Palio si chiamava Francesco Santini, detto il Gobbo Saragiolo, a causa del suo evidente difetto fisico. Il 2 luglio 1823, al suo esordio in Piazza, aveva 13 anni e 8 mesi e le cronache dell’epoca lo descrivono alto 120 cm per 36 kg di peso. Un predestinato che vinse il suo primo Palio. In totale ne corse 59 e ne vinse 15, record assoluto che detiene in comproprietà con Mattio Mancini, detto Bastiancino, che trionfò lo stesso numero di volte, nella seconda metà del 1700. Ma se le notizie su Bastiancino sono più difficili da trovare, del Gobbo Seragiolo si sa molto, compreso il fatto che finì in galera svariate volte e che nel 1855, correndo per la Selva con un cavallo favorito, andrò volutamente dritto alla curva di San Martino. Affrontò i contradaioli inviperiti con una frase passata alla storia: “Ma che dovevo vincere per voialtri miserioni che mi davate 140 monete, quando ne ho guadagnate 170 per perdere?”. Insomma, Giuda non detiene l’esclusiva del tradimento per 30 denari. Alle spalle di questi due fantini, con 14 vittorie, altri due dal soprannome emblematico: Caino (anche lui protagonista dei primi anni dell’800) e Aceto, figura leggendaria del Palio moderno. Sotto di un gradino troviamo l’unico fantino ancora in attività: Luigi Bruschelli detto Trecciolino che ha trionfato 13 volte e, ormai cinquantunenne, insiste alla ricerca di una vittoria che finirebbe dritta nella leggenda.

Noi e gli altri. Raccontare il Palio di Siena per un non senese è un’impresa impossibile. Perché provarci, allora? Almeno per due ragioni: la prima è che il Palio si può amare, si può odiare, ma certamente non può lasciare indifferenti. La seconda è che il Palio, dopo cinquecento anni di storia, parla ancora tanto, anzi tantissimo, di noi italiani che pure non portiamo il fazzoletto di una Contrada al collo.

 


Non è un gioco, né uno scontro tra tifoserie, né una rievocazione storica, né una rappresentazione per turisti. Sarà l’imponderabile, l’incontrollabile a decidere il sapore di lacrime che sapranno di felicità o di disperazione


 

Un non senese può raccontare il Palio in un solo modo: con profondo rispetto, astenendosi da giudizi e tentando di limitare i propri errori. Il primo da evitare è quello di concentrarsi solo nel racconto dei giorni del Palio, perché in realtà quell’esplosione di intensità ha radici molto più profonde. Bisognerebbe capovolgere il punto di vista e, piuttosto, raccontare la vita della Contrada nel suo scorrere nell’attesa di quei due giorni dell’anno: il 2 luglio e il 16 agosto. Una lunga rincorsa (amplificata dal fatto che la Contrada sia in piazza, ovvero partecipi al Palio, che sia in piazza la propria nemica o, il massimo, che corrano entrambe). Il Palio non è certamente un gioco, non è uno scontro tra tifoserie, non è una rievocazione storica, tanto meno una rappresentazione per turisti curiosi. Anzi, se nei giorni del Palio i turisti stessero a casa loro molti contradaioli ne sarebbero felici. Il Palio vive tutti i giorni dell’anno ed è per questo che chi non è nato a Siena è destinato a non capire mai del tutto e dunque fortemente invitato a non giudicare. Bisognerebbe poter vivere a Siena, dentro alla Contrada, per capire come questo modello sociale così denso di storia sia in realtà incredibilmente moderno, anzi rivoluzionario. La vita della Contrada è forse il miglior esempio di socialismo reale esistente: l’amore per il proprio pezzetto di mondo, il senso di appartenenza e fratellanza, la divisione delle competenze, il mutuo assistersi, la capacità di farsi carico dei più deboli, il trasmettere valori alle nuove generazioni sono sensazioni davvero tangibili, che si respirano camminando in Contrada. Un modello sociale dove chi raggiunge posizioni di responsabilità apicali è chiamato a spendere migliaia e migliaia di euro di tasca propria per il bene e per l’onore della Contrada. Un modello dove la reputazione, la competenza, la capacità di leadership, l’empatia, l’attenzione al sociale e la dimostrazione di sapersi prender cura di quella diciassettesima parte di un territorio incastonato dentro a una piccola città, è determinante per poter essere democraticamente eletto dal proprio popolo. Insomma, un modello capovolto rispetto ai tempi che corrono.

 

Serve, allora, portare rispetto e seguire quel consiglio cantato da ogni popolo delle diciassette Contrade: Per forza e per amore ci dovete rispettare. Per forza e per amore è un costante alternarsi di due sentimenti legati da una e che è congiunzione, non da una o disgiuntiva.

 

Per forza, la forza del singolo, la forza espressa nelle scazzottate con i contradaioli della nemica, la forza delle relazioni e per amore della città intera, delle diciassette Contrade consorelle che, solo se insieme, fanno vivere il Palio e fanno grande Siena.

 


Foto LaPresse


 

Tuttavia rispetto, forza e amore si misurano nel momento della vittoria. Perché al Palio conta solo chi vince, come nei Giochi Olimpici dell’Antica Grecia. L’importante non è partecipare, ma è vincere. Anzi, c’è chi dice che l’importante è che non vinca la propria nemica. Quello che conta davvero, al di là della vittoria o della sconfitta, è appartenere. Appartenere, ovvero far parte di qualche cosa che si sente essere più grande e più importante di noi, singoli individui. Può capitare con la propria Nazione, ogni quattro anni ai Giochi Olimpici o ai tifosi di una squadra di calcio. Può capitare con un partito politico, un’ideologia, una religione. Succede, di sicuro, se sei nato a Siena dove ti insegnano, fin dal giorno del battesimo contradaiolo, quando si riceve quel fazzoletto il cui nodo non dovrà mai più essere snodato, un concetto fortissimo di identità che si nutre, sempre e inesorabilmente, di quello di alterità. In modo simmetrico, si appartiene e definisce il proprio noi quando è ben chiaro chi sono gli altri. Anzi, quando comprendiamo che senza quegli stessi altri, non potrebbe esistere nessun noi.

 

In conclusione. Il Palio è rappresentazione della vita, anzi del trionfo della vita sulla morte. La vittoria è una rinascita, esplode una festa che si vorrebbe senza fine. Invece no, finisce. Arriva sempre un Palio successivo e la tua nemica è lì a ricordartelo. La vittoria è un’esplosione tellurica, fatta di urla, di lacrime, di abbracci che qualunque tentativo di descrizione non sarebbe all’altezza di raccontare. Ecco perché questo reportage si ferma qui: 16 agosto 2019, primo pomeriggio, quando nella chiesa di dieci Contrade, un prete con un fazzoletto al collo accoglie un cavallo in chiesa, gli impartisce la propria benedizione e lo congeda, con la voce rotta dall’emozione, chiamandolo per nome e dicendogli: “Va’ e torna vincitore!”. Solo uno dei dieci tornerà vincitore ed è incomprensibile a chi non appartiene a una Contrada il significato di quel ritorno. Resta una sola certezza, riassunta dal Maestro Andrea Camilleri: “Il Palio è la passione più bella del mondo. Credeteci”.

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