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Le pazze e spregiudicate parate di Bepi Moro

Alberto Facchinetti

I rigori respinti, i miracoli, le papere, l'esilio tunisino e tutta la vita di uno dei migliori portieri della sua generazioni. Ma di cui il calcio si è dimenticano

"Cerca di essere il più spregiudicato possibile, gli avversari devono sentirsi a disagio. In area comandi tu, devi dirigere la difesa al meglio. Mi raccomando, Alberto, fatti sempre rispettare!”. Il mitologico portiere Bepi Moro, dopo una carriera di parate miracolose e papere colossali, si trova a metà anni Sessanta in esilio calcistico in Tunisia. A un centimetro dal fallimento economico e umano, ha trovato una squadra in Africa grazie al collega Vincenzo Monaldi, che già lavorava là. Moro fa l’allenatore da qualche mese a Ebba Ksour e vinto dalla nostalgia ha da poco portato con sé moglie e figli. Ora è proprio Alberto, non ancora maggiorenne, a fare il suo esordio nel campionato di terza divisione tunisina. Alberto è un portiere come suo padre e Bepi dà le ultime indicazioni prima di buttarlo nella mischia. Vincenzo Monaldi di Porto Recanati, un passato da calciatore, è assunto all’Olympique du Kef. C’è poi un altro italiano in nordafrica che sta facendo molto bene. È Fabio Roccheggiani di Falconara Marittina, da molte stagioni uno degli allenatori più apprezzati di Tunisia. Si è costruito una famiglia e allena dal 1957 il Club Africain. In quegli anni c’è dunque un pezzetto della regione Marche che insegna calcio in Tunisia, Bepi Moro è un trevigiano che si è trasferito, appesi i guanti al chiodo, a Porto Sant’Elpidio.

“Come portiere – racconta oggi Alberto – assomigliavo a mio padre nella presa, ma come tutti i figli dei campioni, mi è pesato il fatto di essere sempre messo al suo confronto. Papà mi è stato d’aiuto. Quando siamo andati in Tunisia, perché aveva trovato lavoro come allenatore là, mi fece esordire il giorno in cui il portiere titolare era indisponibile”. È matto come suo padre. Se l’è sentito dire spesso Alberto Moro, classe 1947 e una carriera soprattutto in serie D, da tifosi e addetti ai lavori che evidentemente conoscevano la storia del calcio. Bepi fu uno dei migliori portieri della sua generazione, quella che ha avuto la tragedia di Superga come spartiacque. Di sicuro il migliore pararigori, è stato protagonista di partite memorabili in Nazionale contro l’Inghilterra. Ma fu anche un personaggio molto discusso all’interno di questo mondo.

 


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Nel dicembre 1965, proprio nel pieno dell’avventura tunisina, si presenta spontaneamente al Corriere dello Sport e l’allora direttore Antonio Ghirelli lo fa accomodare in un ufficio della redazione e a un giovane Mario Pennacchia comincia a confessare tutte le sue malefatte. Il suo romanzo esce a puntate sul giornale e tanti anni dopo Massimo Raffaeli ha l’intuizione di raccogliere gli articoli per farne un libro dal titolo emblematico “La vita disperata del portiere Moro”.

 

“Sono stato un pazzo, uno sregolato, un debole, uno spregiudicato, un illuso, uno sventurato”, disse di sé Bepi. Da quelle interviste esce un uomo davvero disperato, rimasto senza soldi e senza amici, ma anche una persona che appare sincera, sicuramente oltre la media sempre abbastanza omertosa dei suoi colleghi. Pennacchia, che poi è diventato uno dei più importanti giornalisti sportivi in Italia, scrive di una nomea di corruttibilità che segue ovunque Moro, dopo aver ricevuto premi per vincere, premi per perdere, e mandato a monte partite già concordate per il gusto di una parata. Chiuso un investimento disastroso su un bar di Roma, a Moro non resta che la Tunisia. Per tre anni lavorerà lì, prima di fare ritorno nelle Marche e morire nel 1974. Anche Alberto torna in Italia, va in prova con Bari e Milan, ma sono i giorni in cui deve partire per militare e non se ne farà nulla.

“In Tunisia ci siamo trovati bene – continua Alberto – ho il ricordo di gente laboriosa, lì vivevano ancora italiani ma se ne stavano tornando a casa, lasciando i loro averi. Ebba Ksour era un piccolo centro, Beja invece sembrava più europea e offriva maggiori servizi. Con la gente avevamo un ottimo rapporto, ho ancora alcuni amici là. Spesso andavamo a Tunisi, un centinaio di chilometri da Beja, a trovare l’amico Roccheggiani”. Ma com’era il calcio in Africa a metà anni Sessanta? “Si giocava sempre in campi di terra battuta. Era un calcio molto fisico, ma con ottimi giocatori. Difatti Scoglio anni dopo ne portò alcuni in Italia, purtroppo caratterialmente erano abituati a prendere lo sport come un divertimento”.

Oggi a Falconara c’è uno stadio dedicato a Roccheggiani, a Porto Recanati uno intitolato a Monaldi. Non c’è alcun impianto né in Veneto né nelle Marche per Giuseppe Moro. “Quando a distanza di anni – conclude Alberto – vengo avvicinato da vecchi tifosi che mi confidano che allo stadio ci andavano non per seguire la partita, ma per vedere Moro, beh per me è un’emozione unica. È già tanto così”.

 


 

Alberto Facchinetti nasce nel 1982 in provincia di Venezia. Giornalista sportivo, è uno dei fondatori di Edizioni inContropiede. Ha scritto cinque libri a tema calcistico ed è coautore di tutte le Football City Guides. Collabora con Federico Buffa per i testi dei suoi programmi tv.

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