Belotti, Insigne e i danni collaterali dell'eliminazione dai Mondiali
Per Sinisa Mihajlovic, l'attaccante del Torino “è rimasto sotto choc per l'Italia”. L'esterno del Napoli invece con Sarri ritrova il campo, il gol e l'ennesima buona prestazione
L'eliminazione dell'Italia dalla corsa mondiale? Come un'operazione di guerra andata male. Prima lo sconcerto per l'obiettivo fallito in maniera dilettantesca, quindi - a seguire - i danni collaterali. Prendete Andrea Belotti. Ancora una volta l'attaccante del Torino non ha trovato il gol in campionato. Non soltanto: contro il Chievo ha pure fallito l'opportunità facilitata garantita da un calcio di rigore. “È rimasto sotto choc per l'Italia”, la giustificazione di Sinisa Mihajlovic. Poi prendete Lorenzo Insigne, anche se in questo caso si tratta di un danno collaterale sui generis. Più che di danno si dovrebbe infatti parlare di mancato disvelamento nel passaggio dal Napoli all'Italia, dall'azzurro del club a quello della nazionale. Perché l'Insigne visto nella gestione di Gian Piero Ventura non è mai stato minimamente paragonabile a quello applaudito al San Paolo. Anzi, l'attaccante si è rivelato un punto interrogativo per chi passerà alla storia come il ct più deludente. Insigne è stato vissuto come una sofferenza da Ventura. Il tecnico non poteva non convocarlo, perché la critica lo ritiene uno dei rari talenti espressi recentemente dal povero calcio italiano. Una volta che ce l'aveva tra le mani, però, non sapeva che farsene: inutilizzabile con l'attacco a due punte oppure piazzato a fare più il difensore che la punta esterna nel 4-2-4 così amato dal ct. Il trionfo nello spareggio contro la Svezia. All'andata Insigne entra nei minuti finali, dal campo lui stesso deve chiedere che cosa fare. Il trequartista, gli rispondono, un ruolo mai ricoperto. Al ritorno non viene neppure utilizzato, suscitando la rabbia di Daniele De Rossi immortalata dalla telecamere.
Un fallimento in nazionale cui hanno sempre fatto da contrappunto immediate prestazioni positive in campionato. L'assist per l'1-0 di Callejon a Bologna dopo la batosta in Spagna a settembre, la rete della vittoria in casa della Roma dopo il minuto giocato in Albania a ottobre, il gol del vantaggio contro il Milan nell'immediato post-Svezia. Tre passaggi che darebbero ragione ai critici di Ventura (ci siamo anche noi), ma che non tengono conto di quale sia la grandezza e, al tempo stesso, il limite di Insigne. Perché lui dà il meglio non solo quando gioca nella propria posizione, ovvero attaccante esterno di sinistra, ma lo dà quando la sua fantasia è - per assurdo - ingabbiata in un sistema di gioco in cui nulla è lasciato al caso. Come avviene nelle squadre di Maurizio Sarri.
È questo che ha fatto la differenza tra i due Insigne. Nel Napoli, sul campo, si tiene conto anche dei tabelloni pubblicitari per avere punti di riferimento, tanto è codificato il 4-3-3. Un gioco efficace e bello, che ha portato a un primo posto in campionato finalmente tenuto con convinzione e con prospettive di vittoria finale. Ma anche un sistema che rischia di incepparsi quando i suoi interpreti cambiano. Non a caso Sarri adopera quasi sempre gli stessi undici titolari, non a caso il Napoli è andato in crisi contro il Manchester City quando si è infortunato Hysaj, un terzino: fino a quel momento la squadra di Guardiola si era trovata un forte imbarazzo. È un meccanismo in cui Insigne diventa il vero Insigne, in attesa di applaudirlo un giorno anche in nazionale. Forse.
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