Scena tratta dal film "L'allenatore nel pallone"

E' ora di finirla con il Fantacalcio, versione pallonara dell'uno vale uno

Nicola Imberti

L’invenzione del Fantacalcio sta al calcio, come il grillismo sta alla politica: perché, in fondo, siamo tutti convinti di capirne più degli altri

Ammettiamolo, l’invenzione del Fantacalcio sta al calcio, come il grillismo sta alla politica. In un paese in cui la maggior parte degli appassionati si sente per 365 giorni l’anno più capace di qualsiasi allenatore, direttore sportivo, presidente di una squadra, il Fantacalcio è stato il primo esempio di “democrazia diretta”, di “uno vale uno” applicata al bar dello Sport. Perché se Massimiliano Allegri, Luciano Spalletti, Maurizio Sarri, Stefano Pioli & Co. possono, anche tu puoi. E finalmente hai l’occasione di dimostrarlo.

 

Come nella migliore tradizione grillina, ovviamente, a fare la differenza è la dimensione virtuale. Tutto si è sviluppato ed è evoluto grazie “all’internet”. E anche se ogni fantacalcista che si rispetti vi spiegherà che ciò che conta veramente è divertirsi; che in fondo è più che altro un’occasione per mantenere rapporti di amicizia anche a distanza; se le mamme si ritroveranno ad osservare i propri figli pronunciando frasi del tipo “meglio giochi al Fantacalcio piuttosto che si droghi”; alla fine ciò che conta è una cosa sola, vincere. E coltivare il nostro narcisismo con la celebre massima: “Io vinco al Fantacalcio perché il calcio lo capisco, lo vedo”.

 

In fondo è facile comprare campioni come fossero figurine da collezione, ma ogni fanta-allenatore che si rispetti sa che non bastano. Non si vince solo con le doppiette di Higuain, Icardi e Belotti o con gli assist di Insigne. Spesso c’è bisogno di un’ammonizione in meno (0,5 punti), di un gol di quel difensore sconosciuto appena arrivato dalla Serie B su cui nessuno ha avuto il coraggio di investire (3 punti), di pescare il jolly tra i giocatori in panchina. I profani la chiameranno volgarmente fortuna, il “professionista” no. E’ visione, studio, conoscenza, capacità di interpretare le gare. Altro che corsi di formazione a Coverciano, bastano un paio di weekend con la “Rosea” in mano e il gioco è fatto. Ecco il perfetto allenatore fai-da-te.

 

Ovviamente tutto questo impone dedizione e fatica. Infinite sedute notturne di calciomercato, sabati passati a peregrinare per le edicole di capitali straniere per trovare un giornale che ci dica le “possibili formazioni”, cene con mogli o fidanzate e un occhio sul cellulare sempre fisso per sapere come è finita Crotone-Benevento e chi ha segnato. Ma, soprattutto, la capacità di modulare il proprio tifo calcistico. Perché se sei interista continuerai a sperare che la Juventus perda, ma almeno che lo faccia con un gol di Marchisio (“che ce l’ho al Fantacalcio”), se sei romanista “guferai” come sempre la Lazio ma ti ritroverai a sperare in un rigore parato da Strakosha (che sono un bel +3). E anche il più incrollabile degli ultra, nel segreto del suo cuore, gioirà per un gol dei nemici di sempre o per un’ammonizione di un giocatore della sua squadra del cuore.

 

Perdonateci ma a noi, il calcio della rete, virtuale e democratico ci ha veramente stufato. Dopo quasi trent’anni sentire ancora parlare di fantamilioni ci fa lo stesso effetto di una puntata del Grande Fratello. Noia, noia pura. Per cui ve lo chiediamo per pietà, smettetela. Non vi chiediamo di smettere di sentirvi migliori di chi il calcio lo gioca veramente. Quello, si sa, è un vizio che nessuno ci toglierà mai. Vi chiediamo, però, di riportare il bar dello Sport lì dove è sempre stato. Di smettere di pensare che basti vincere un campionato virtuale per avere la prova della vostra infinita conoscenza calcistica. In fondo ci sarà un motivo per cui, in trent’anni, nessuna squadra ha sentito la necessità di affidarsi ad un fanta-allenatore. “Uno vale uno” va bene come slogan, ma alla fine, se vuoi vincere, è sempre meglio affidarsi ai professionisti. Rassegnatevi.

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