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Bonucci come e più di Pirlo, la nemesi che rimette le cose a posto

Matteo Matzuzzi

Dopo Conti, Ricardo Rodriguez, Borini, André Silva, Kessie, Biglia ecc. il Milan compra la colonna della Juventus. E i tifosi godono

Roma. Alla fine, era sincero il “Grazie presidente”, coro brevissimo partito dai cinquecento coraggiosi che stazionavano sul cemento rovente davanti a Casa Milan, dove il “presidente” in questione era l’ex, Silvio Berlusconi e non il nuovo, quel Yonghong Li che evidentemente esiste. Davvero Berlusconi ha lasciato il Milan in buone mani come aveva promesso. Fino a oggi era stato sì un mercato scoppiettante, con Conti e Ricardo Rodriguez e Kessie e altri sei o sette nuovi arrivi (s’è perso il conto delle “cose formali”, per dirla con l’ad Fassone), ma insomma mancava il colpo, il botto che fa venir giù lo stadio. Il capolavoro capace di cambiare tutto, gerarchie, sogni, discorsi agostani, discussioni da tv private e soprattutto le mitologiche griglie di partenza di Mario Sconcerti. Leonardo Bonucci – che ha firmato fino al 2022 e sarà per ora il giocatore più pagato della rosa – è come Pirlo a parti rovesciate.

 

Anzi, è ben di più, visto che noi milanisti ormai Pirlo lo fischiavamo ogni volta che lentamente improvvisava una manovra delle sue per gli scarponi che si trovava al fianco, nel declinante centrocampo rossonero degli ultimi anni post Champions League vinta ad Atene ormai dieci anni fa. Lo davamo per finito, vecchio e imbolsito. Eravamo arrivati a volere fisso in campo l’onesto Mark Van Bommel, bravissimo e serissimo ma di certo non dotato di piedi fatati o di classe sopraffina. Tant’è che quando Pirlo tradì, andando alla Juventus perché non si prendeva più con Max Allegri (ma guarda un po’ la ciclicità della storia), nessun tifoso si crucciò troppo. Nessuno pensò né di darsi fuoco in piazza né di dar fuoco alla sua maglia o di maledirlo come fosse un Donnarumma pre-redenzione o un Higuaín qualunque. Poi Pirlo è rinato e noi siamo piombati all’inferno, lui ha vinto qualche scudetto di fila e noi veleggiavamo tra il quinto-sesto-settimo-ottavo posto, intenti a raccattare parametri zero rimasti sul mercato dopo le roboanti campagne altrui.

 

Ora tutto ricambia, si torna quasi al punto di partenza, cancellando il limbo. Il colpo psicologico è notevole, l’inaudito è diventato realtà e cioè una big italiana – pure col blasone assai sbiadito – si è permessa di andare a Torino e di portarsi a casa in due giorni un loro simbolo, una B della mitica BBC granitica santificata in ogni dove.

 

Di solito accadeva il contrario, erano loro a fare lecita razzia. Silenziosi e rapaci, col bastone del comando sempre in bella vista. Marotta sogghignava rilassato solo qualche settimana fa, dicendo che sì, loro erano “vigili” sull’affaire Donnarumma, perché la Juventus ha sempre avuto il portiere della Nazionale, la Juve è sempre la Juve, e via dicendo. A metà luglio, Donnarumma rinnova col Milan, si becca in diretta Facebook la sberla sul coppino del ds Massimiliano Mirabelli – “il direttore sportivo è una figura superata”, ci faceva sapere Adriano Galliani tempo fa, mentre trattava Pjaca al ristorante, lasciandolo poi andare alla corte di Allegri per mancanza di quattrini, e però ci portava il mitico Vangioni – e a Casa Milan arriva Bonucci. Tra ali di folla, cori già da campionato, insulti alla Juve e tante maglie rossonere con già stampato il 19 del probabile nuovo capitano. Perché anche questo piccolo particolare racconta bene quel che è successo: una colonna portante della Juve diventa subito capitano del Milan. Roba forte, da rosicamento talmente assicurato che i soliti bene informati del calciomercato fanno sapere che un pensierino in quel di Vinovo lo stanno facendo per il trentatreenne Thiago Silva, un tempo milanista. A colpo si risponde con colpetto, ma alla fine va bene così.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.