Massimiliano Allegri (foto LaPresse)

Il capolavoro di Massimiliano Allegri che ha cancellato Antonio Conte

Leo Lombardi

Il tecnico ha regalato alla Juventus il sesto scudetto consecutivo, il terzo con lui alla guida, tre Coppe Italia e due finali di Champions. E ieri lo Stadium era tutto per lui

È il destino di Massimiliano Allegri: fa più fatica a entrare in un cuore che in un albo d'oro. Lui stesso lo ammette. Non ama i bagni di folla, non si lascia andare a gesti paraculi. Si tiene stretto un gruppo fidato di amici, costruito nel corso degli anni tra i luoghi in cui è cresciuto e in cui ha lavorato, prima da calciatore e poi da allenatore. Nulla più. Lo ha ammesso anche domenica: “Non sono uno che fa molte celebrazioni”. Eppure qualcosa è stato sdoganato, durante la festa allo Stadium, alla fine del match con il Crotone che ha significato scudetto per la Juventus. Per la prima volta si sono visti i tifosi inneggiare ad Allegri, evento quantomai raro. Sembrerebbe un paradosso, per un tecnico capace di vincere tre scudetti e tre Coppe Italia in altrettanti anni (con l'aggiunta di una Supercoppa), giungendo pure dove non era arrivato il suo mai dimenticato – dalla curva – predecessore. Perché Antonio Conte aveva sbattuto la porta nell'estate 2014 affermando che non si sarebbe mai potuto vincere una Champions League senza possedere giocatori adeguati. Allegri si presenta al suo posto, insalutato ospite per il marchio Milan ancora cucito addosso, e lo smentisce immediatamente, centrando la finale di Champions poi persa dopo aver tenuto testa al Barcellona. Non contento, si è ripetuto anche oggi. E il 3 giugno affronterà a Cardiff il Real Madrid con l'ambizione di vincere un trofeo mai vinto, una coppa che in casa Juventus è sempre stata ostacolo d'inciampo (tante finali, pochi successi: solo due, l'ultimo nel 1996). Se ci riuscisse, toglierebbe ai tifosi interisti uno dei pochi argomenti loro rimasti, il Triplete conquistato da José Mourinho nel 2010 (l'altro è la mancata retrocessione).

 

Numeri che impressionano, quelli di Allegri. Ha regalato il sesto scudetto consecutivo alla Juventus, battendo il primato di cinque dei bianconeri stessi negli anni Trenta e del Grande Torino nel secondo Dopoguerra. Ha conquistato il quarto personale e il terzo di seguito, come prima di lui avevano saputo fare Conte in bianconero, Fabio Capello al Milan e Roberto Mancini all'Inter, comprendendo quello vinto “negli uffici”, come sosteneva con perfidia Mourinho, dopo Calciopoli. Lo ha fatto smentendo chi lo accusava di essersi impossessato del lavoro del predecessore: della Juventus di Conte è rimasto il blocco difensivo e basta. Lo ha fatto smentendo chi lo accusava di non avere fantasia tattica: il 4-2-3-1 con Mandzukic alla Eto'o (e non può essere un caso) è un'idea sua. Lo ha fatto smentendo di essere un aziendalista: Bonucci sullo sgabello in Champions, contro il Porto, lo ha mandato lui e non la società. Se poi essere aziendalisti significa rivitalizzare giocatori a costo zero come Dani Alves oppure valorizzarne altri considerati ipervalutati come Alex Sandro, allora questo è un altro discorso. Perché, alla fine, ciò che conta è arrivare primi e la Juventus lo ha fatto lasciandosi dietro avversarie capaci di conquistare, a una giornata dalla fine, 84 punti come la Roma e 83 come il Napoli. Ora resta la Champions per chiudere il cerchio, con quella Juventus da cui Allegri potrà ripartire alla ricerca di primati, per il club e per sé. Quattro scudetti consecutivi li vinse soltanto Carlo Carcano con i bianconeri dal 1930 al 1934, prima di venire cacciato e finire nell'oblio (per storie di una presunta omosessualità) mentre stava conquistando il quinto. Per quest'ultimo Allegri avrà tempo.

 

E se il congedo di Allegri è stato per la prima volta trionfale, altrettanto non può dirsi per Luis Muriel. Domenica Era la seconda partita con la Sampdoria, dopo un lungo infortunio; era una trasferta a Udine, città da cui si era lasciato in malo modo dopo due stagioni e mezza. Vi era già tornato da blucerchiato, in altre due occasioni, ma non aveva mai segnato. Stavolta lo ha fatto, nel più semplice dei modi (su rigore) e infiammando una partita che più inutile non si poteva, visti gli obiettivi già raggiunti su entrambi i fronti. Perché dopo il gol ha contraddetto chi accusa gli ex di non festeggiare mai. Muriel ha celebrato, eccome, portandosi platealmente le mani alle orecchie e scatenando la protesta dello stadio, insieme con la rabbia di chi era stato suo compagno in bianconero: Jankto ha aperto la caccia all'uomo, Danilo ha messo le mani al collo di Muriel, l'arbitro Riccardo Pinzani (una vita in serie B e rare apparizioni in serie A: forse una ragione c'è) ha estratto i cartellini rossi, tutti hanno partecipato in qualche modo alla rissa. Il modo giusto per mantenere fede alla mediocrità di cui la partita era intessuta fin dalla vigilia.