Le discese ardite di Federico Bahamontes: meno 60 al Giro100
Nel 1958 Ercole Baldini vince il suo primo e unico Giro d'Italia. In quell'edizione appare uno spagnolo che in salita non sembra avere rivali. In discesa invece...
Il talento è materno, almeno per stirpe. Ne era convinto il genista Richard Strupps quando negli anni Novanta si mise a scandagliare il Dna umano in cerca di conferme. E poco importa se non ne trovò mai una e alla fine fu ricoverato per un esaurimento nervoso. Se ne resero conto tutti vedendo uno spagnolo secco e spigoloso che quando incontrava la strada salire sembrava che volasse. Il nome era Alejandro. Il cognome paterno Martìn. In Spagna però quello materno segue quello ereditato dal padre: Bahamontes. Non un cognome, un ordine e un destino: scavalcamontagne.
L’infanzia decise il suo nome, per tutti era Federico, la strada il suo cognome e soprannome: Bahamontes, l’Aquila di Toledo. Perché da lì veniva, o meglio da Santo Domingo-Caudilla. Nome esotico, tanto quanto le sue origini cubane. Iniziò a pedalare non per scelta, ma per mancanza di alternative: di soldi in famiglia ce ne erano pochi e le due ruote servivano per portare più velocemente la frutta, per guadagnare di più visto che veniva pagato a cassa. Aveva iniziato col rubarla a dieci anni, poi data la velocità con la quale scappava il commerciante lo assoldò per fargli le consegne e in una mossa si liberò di due pesi: quello del pedalare e quello di farsi fregare la merce. Federico se ne andava in giro con cento chili a tragitto. E quando toglieva i carichi volava.
Gli bastò poco a capire che a pedalare si facevano più soldi in corsa che con la verdura. Lui e Manuel Lopez, l’amico di sempre, sempre assieme anche alle gare. Manuel era grosso e veloce, Federico era secco e scattante. Si dividono i traguardi: quando la strada sale il primo aiuta il secondo, quando è piana il secondo il primo. Poi si dividevano i guadagni, che non erano pochi visto che in una ventina di gare ne vinsero sedici.
Bahamontes aveva un carattere schivo, di chiacchiere ne faceva poche e si annoiava facilmente. Per questo appena poteva attaccava. Quello sapeva fare, attaccare, staccare gli altri. E gli riusciva sempre, se la strada saliva. E il 21 maggio 1958 se ne accorsero anche in Italia. Il Giro da Saint Vincent scendeva verso Torino, prima di arrampicarsi sino alla Basilica di Superga. Raphael Géminiani la iniziò a tutta per tentare di lanciare il suo capitano Jean Brankart e quando si tolse dalla testa davanti erano rimasti in dieci. Charly Gaul pregustava la vittoria di tappa quando disse allo spagnolo, che al Giro era venuto per aiutarlo, di mettersi in testa a tirare. Bahamontes lo fece, impose un ritmo omicida che solo il lussemburghese riuscì a tenere. MA con fatica. Gaul gli chiese di rallentare perché non ce la faceva più, ma lo spagnolo non sentì o non volle sentire, continuò col suo passo e tagliò il traguardo 27 secondi davanti al capitano. Poco o nulla per la classifica, ma abbastanza far arrabbiare l’Angelo della Montagna. Gaul era furente, avrebbe voluto mettere le mani addosso al compagno, ma il suo direttore sportivo lo bloccò, disse a tutti che Charly si era staccato per un problema al cambio. E allora fu Bahamontes ad arrabbiarsi. In silenzio come al solito. E due giorni dopo, sul Passo di Cento Croci, l’Aquila di Toledo iniziò a menare sulla bicicletta, staccò tutti e superò il Gran premio della montagna per primo, un minuto e mezzo avanti a tutti.
Se quando la strada saliva Bahamontes non aveva rivali, era quando questa scendeva che iniziavano i problemi. Giù per il serpentone che dal passo porta al mare lo spagnolo scese frenando con i piedi, intimorito dalla pericolosità della discesa. Lo passarono tutti quelli che aveva salutato in salita. Per arrivare al traguardo ci impiegherà quasi un quarto d’ora in più dei rivali.
Discesa, questa sconosciuta. Affrontarla è “questione di spensieratezza”, scrisse Antoine Blondin. Al Tour de France del 1954 Bahamontes salendo sul Galibier creò il vuoto alle sue spalle, un vuoto che colmò in cima al passo seduto su un paracarro a gustarsi un gelato. Aspettava qualcuno per scendere, da poterne seguire le scie. Il problema era la paura. Una paura da centoquaranta spine, quelle che gli levarono quando finì su un cactus durante una tappa della Vuelta delle Asturie.
Vincitore: Ercole Baldini in 92 ore 9 minuti e 30 secondi;
secondo classificato: Jean Brankart a 4 minuti e 17 secondi; terzo classificato: Charly Gaul a 6 minuti e 7 secondi;
chilometri percorsi: 3.341.
Il Foglio sportivo
Il beach è donna soprattutto in panchina
Il Foglio sportivo