"El Papu" Gomez con la maglia del'Atalanta (foto LaPresse)

Dal San Lorenzo a Bergamo, passando per l'Ucraina: così "Papu" Gomez ha fatto grande la Dea

Leo Lombardi

La storia del folletto argentino che a 29 anni si riscopre determinante. Una carriera strana, la sua, che lo ha portato da Catania fino a un paese in guerra. Per poi tornare a casa 

Un soprannome non si nega a nessuno, specie in Argentina. Ma che fare quando sei piccolino (164 centimetri) e la “pulga” è già un certo Leo Messi? Ti adatti e arraffi ciò che rimane libero, come avviene per una casella mail qualunque. Alejandro Gomez non avrebbe mai potuto essere né sarà mai la pulce di Barcellona (che pure avrebbe potuto raggiungere, se fosse durata la collaborazione tra i catalani e l'Arsenal Sarandì, con cui giocava in patria). E' così diventato il “papu”. Inutile cercare una traduzione letterale, può andar maggiormente vicino quella di “puffo”, viste le dimensioni tascabili di Gomez. Un personaggio da fumetti, come quelli che appaiono sulle fasce da capitano disegnate dalla moglie Linda (un architetto). Possono variare da Holly e Benji, protagonisti di un improbabile calcio in salsa giapponese, ai personaggi di Frozen, esibiti domenica pomeriggio a Verona. Ma un calciatore terribilmente vero, riscopertosi non più giovanissimo, visto che compirà 29 anni tra poco più di un mese. L'Italia lo accoglie nel 2010, quando il Catania lo prende dal San Lorenzo, la squadra nel cuore di Papa Francesco. Gomez approda in un gruppo in cui si parla spagnolo: dodici gli argentini tesserati, cui a gennaio si aggiunge Diego Simeone come allenatore, proprio dal San Lorenzo. L'attaccante trascorre tre anni importanti in Sicilia. Piace per come sa muoversi sulla fascia, per la rara capacità di puntare l'uomo e di saltarlo.

 

Lo cercano i grandi club, lui finisce in Ucraina nel 2013 per sette milioni. Un campionato minore e una squadra minore, come il Metalist Kharkiv. Pensa di giocare le coppe, si ritrova escluso da una squalifica che colpisce il club per la tentata combine di un match in patria. Pensava di aver trovato un personale Eldorado, si ritrova invece con la paura di una guerra con la Russia e con la gente che gira armi in mano per le vie della città. La strada del ritorno in Italia è breve, gliela spiana Leo Rodriguez, suo cognato e agente. Da noi non aveva fatto grandi cose, come calciatore, ma era stato a Bergamo e sapendo quanto lì ci si trovi bene, lo ha spiegato al suo assistito-parente. Gomez rientra un paio di stagioni fa, impiega poco tempo a tornare irresistibile. Ma con una responsabilità in più, data da quella fascia sul braccio. Diventa il leader dell'Atalanta e trova in Gian Piero Gasperini l'uomo che sa esaltarne le caratteristiche, visto l'amore del tecnico per il calcio offensivo. C'è tanto dell'argentino nella squadra che ha chiuso il girone d'andata con un numero di punti mai raggiunto prima: le due reti al Chievo sono state l'ultimo regalo. Sarebbe stato ben disposto a farlo anche per l'Italia, ma un Mondiale Under 20 disputato e vinto con l'Argentina – e senza avere già allora il doppio passaporto – glielo nega. Peccato.


Sta invece diventando un pericoloso vizio quello del Crotone. Si presenta ai minuti finali di una partita e, zac!, alza bandiera bianca. Un segnale già alla prima giornata, con il Bologna andato a vincere a 4 minuti dalla fine grazie a una rete di Destro. Poi le due milanesi, il Sassuolo, il Torino: tutti passati in quei minuti conclusivi che il tecnico Davide Nicola cancellerebbe volentieri dal suo cronometro. Domenica alla festa si è iscritta anche la Lazio. Un banale colpo di testa all'indietro di Martella al novantesimo si è trasformato nel più goloso degli assist per Immobile, pronto a trasformare lo sciagurato invito in gol. Un gesto che si trasforma in simbolo, se si va a ripercorrere la carriera del difensore, al debutto in serie A dopo tanta Lega Pro e Serie B. Perché il pallone si baserà anche su preferenze e scelte non sempre comprensibili, ma tiene parecchio conto delle gerarchie. E tra i grandi devi dimostrare di saperci stare, altrimenti sono pronti a sculacciarti alla prima fesseria che commetti. Come capitato al Crotone. E a Bruno Martella.

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