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L'European Super League è un progetto serio, ma non sostituirà la Champions League

Giovanni Battistuzzi
Martedì l'incontro tra il miliardario Ross e i dirigenti dei club più ricchi d'Inghilterra. L'idea di creare una competizione europea a invito per soli grandi club c'è, ma il magnate americano non punta a una guerra contro la Uefa, vuole occupare gli spazi liberi attorno al business del calcio.

C’è vita oltre la Champions League. O così almeno vogliono farci credere. Non l’Europa League, sia chiaro, neppure i campionati, quelli vivono di calcio e passione propri. C’è vita oltre la Champions, anche se al momento sono solo batteri, forme unicellulari, contatti e progetti. C’è la European Super League, o almeno così si dovrebbe chiamare il nuovo torneo europeo per club che potrebbe, nelle intenzioni degli organizzatori, prendere il posto della coppa più importante dell’Europa calcistica: tutte le squadre migliori d’Europa che si sfidano in un grande campionato europeo.

 

L’anteprima l’ha data il Sun mercoledì. Secondo il tabloid inglese nella serata di martedì ci sarebbe stato un incontro tra il miliardario americano Stephen Ross ­– 12 miliardi di dollari di patrimonio secondo Forbes, imprenditore nel campo del real estate, proprietario della squadra di football americano dei Miami Dolphins, appassionato di calcio e organizzatore della International Champions Cup, torneo amichevole estivo ad invito che distribuisce a ogni club partecipante dai 400mila al milione di euro – e le cinque principali squadre della Premier League (Arsenal, Chelsea, Manchester United, Manchester City e Liverpool). La riunione è stata confermata da tutti, ma tutti hanno negato che si sia parlato della creazione di una nuova lega: “Si è parlato di modifiche alla Premier League e al panorama europeo e nessuna conversazione riguardante una sostituzione della Premier League o l'avvio di una Super League europea ha avuto luogo”, ha fatto sapere all’Ap la dirigenza dell’Arsenal. Più o meno la stessa versione è stata data dalle altre società e dall’entourage di Ross. Normale depistaggio mediatico. Perché di certe cose si parla ma non si dice.

 


Il magnate americano Stephen Ross


 

“L’incontro c’è stato e di una nuova competizione si è parlato eccome”, fa sapere al Foglio un collaboratore del miliardario americano. “Il progetto esiste, contatti con sponsor e televisioni ci sono già stati, al momento bisogna però capire quali sono gli spiragli per intavolare una trattativa. E’ necessario capire soprattutto quali club europei sarebbero pronti ad abbracciare questo nuovo progetto”.

 

Se i preliminari sono già arrivati bisogna ora capire se e quando si arriverà al sodo e soprattutto a cosa si punta davvero. Il punto è questo: è iniziata davvero la guerra alla Uefa, perché di questo si tratterebbe, oppure le parti in gioco puntano ad altro.

 

Pensare a organizzare una nuova competizione calcistica per club al momento sembra utopia. La Uefa ha firmato contratti con sponsor, televisioni e federazioni nazionali sino al 2018. Interromperli vorrebbe dire intraprendere un iter giudiziario di cause miliardarie che prosciugherebbe le risorse di qualsiasi club. E inimicarsi l’Uefa potrebbe essere un rischio anche per i tesserati. Se infatti si arrivasse allo scontro e alla secessione dei grandi club, l’organizzazione che controlla il calcio europeo potrebbe con un esposto alla Fifa – dove adesso siede Gianni Infantino, ex Segretario generale Uefa – per chiedere la revoca della licenza calcistica: niente campionati nazionali, esclusione dei tesserati da qualsiasi competizione: ciò vuol dire addio mondiali, europei ecc.

 

 

Non basta. Pensare a un modello sostitutivo della Champions post 2018, vorrebbe dire creare un modello di competizione che possa generare oltre 2,2 miliardi di euro, a tanto infatti ammonta il business generato dalla Champions League, biglietti dello stadio venduti esclusi.

 

Di questi 2,2 miliardi il 75 per cento viene diviso tra i club, suddiviso a sua volta in base ai risultati ottenuti e sul valore di mercato di ogni singolo mercato televisivo nazionale (il cosiddetto market pool); il 25 rimane alla Uefa per coprire i costi organizzativi, amministrativi e il pagamento dei premi di solidarietà a club, leghe e federazioni.

 

Un modello che premia i club più rappresentativi e lo fa lautamente, tanto da creare una netta spaccatura sempre maggiore tra chi la Champions la gioca regolarmente e chi invece in Europa ci arriva sporadicamente.

 

 

Nelle ultime cinque stagioni infatti la Uefa ha dato ai club circa 4.120 milioni di euro, 1.767 di questi, ossia il 43 per cento, è finito nelle casse di dieci squadre. La massima competizione europea e il suo spinto sistema meritocratico di distribuzione dei proventi sta già generando una élite calcistica ben delineata che grazie ad una maggiore capacità di spesa (nonostante il Fair Play finanziario), sta occupando stabilmente le prime posizioni nei campionati nazionali: negli ultimi dieci anni infatti sono state 100 le squadre che hanno giocato la Champions, 43 l’hanno giocata solo una volta, 8 hanno partecipato a ogni edizione, un’altra ventina di squadre ad almeno sei.

 

[**Video_box_2**]Ma quest’anno c’è il Leicester in cima alla Premier League, il Tottenham preoccupa e qualcuna delle grandi inglesi dovrà accontentarsi degli spicci che offre l’Europa League. Per questo la proposta della nuova lega di Ross è stata accolta con curiosità. Sono tutti consapevoli dell’immediata impossibilità di creare una competizione internazionale che sia dedicata a un’élite di grandi squadre, che insomma preservi i grandi capitali investiti e ne generi di nuovi, che la Champions rimarrà la prima competizione mondiale per importanza. Ma sono altrettanto consapevoli “che esita molto altro che potrebbe fare incrementare il business del calcio, a partire da ciò che accade a chi la Champions la vince”, dice al Foglio una fonte vicina al presidente dei Miami Dolphins.

 

La mossa di Ross si tratterebbe quindi della classica Tecnica della porta in faccia: fare una richiesta sproporzionata, riceve un rifiuto, proporre una seconda richiesta molto più contenuta, che è poi il vero obiettivo da raggiungere. Ossia un restaurazione del Mondiale per Club: “Perché i club, che sono quelli che portano avanti il calcio, non hanno un loro evento estivo? E’ assurdo. Per questo oltre alla realizzazione dell’European Super League, vorremmo impegnarci nel colmare questo vuoto”. Ecco allora l’idea molto più fattibile: un torneo tra “una dozzina delle squadre più blasonate da fare alla fine dei campionati: tre settimane di partite, sponsor e risalto mediatico”. E chi vince, un posto di diritto al Mondiale per Club e alla Champions del prossimo anno, perché non sarà calcio estivo, “sarà grande calcio d’estate e per il grande calcio d’estate c’è bisogno di stimoli importanti”.

 

 

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