Steph Curry

“Unbelievable!”. Così nasce un genio, raccontato con il basket americano

Eugenio Cau
C’è chi dice che il genio non esiste. Che non si nasce con un talento speciale, che contano solo l’esercizio, la pratica, la volontà di ferro. Diecimila ore passate a fare sempre la stessa cosa, ha scritto Malcom Gladwell, ecco come si diventa dei geni. Il genio è ingiusto, antidemocratico.

Roma. C’è chi dice che il genio non esiste. Che non si nasce con un talento speciale, che contano solo l’esercizio, la pratica, la volontà di ferro. Diecimila ore passate a fare sempre la stessa cosa, ha scritto Malcom Gladwell, ecco come si diventa dei geni. Il genio è ingiusto, antidemocratico. Parte con un vantaggio su tutti, per forza è sempre primo alla linea d’arrivo. I geni sembrano truffatori, perché pare che giochino con regole diverse da tutti gli altri, ed è difficile prenderli sul serio. La categoria è conosciuta e anche piuttosto arata, portatrice di miti e cliché. Ma veder sorgere un genio praticamente dal vivo, al ritmo di decine di dirette televisive e centinaia di migliaia di clip su YouTube, foto su Instagram, clic sui social e articoli virali sui giornali online, è comunque un’esperienza che non capita sempre.

 

Un genio è sorto negli ultimi due anni nella pallacanestro professionistica americana, l’Nba. Si chiama Stephen Curry, ha 27 anni, gioca per i Golden State Warriors e potrebbe diventare il più forte giocatore di basket di sempre – o uno dei, perché sua altezza Michael Jordan ancora nessuno riesce a scalzarla dall’olimpo. Curry è un giocatore basso, una guardia, misura solo un metro e novanta. E’ stato nominato miglior giocatore dell’Nba l’anno scorso, ha vinto il campionato del 2015 e si prepara a vincere anche quello del 2016. La sua squadra batte record su record. Lui stesso sta disintegrando le statistiche dei vecchi campioni, durante l’ultima partita, in cui ha battuto una delle squadre più forti della Lega, ha superato un record (numero di tiri da tre realizzati in una sola stagione) e ne ha eguagliato un altro (numero di tiri da tre realizzati in una sola partita). Soprattutto, gioca a basket in un modo diverso da tutto quello che si è visto finora. Più spettacolare, più divertente, e soprattutto più stupido – almeno secondo i criteri del basket ante Curry, a. C.

 

 

Il basket è uno sport in cui è essenziale ridurre i rischi. Non si vince se ogni tiro non è ragionato, ogni schema è pensato per far trovare la palla in mano al giocatore che di volta in volta ha più possibilità di fare canestro. I tiri devono essere intelligenti, dicono gli allenatori, non bisogna correre rischi inutili. Ecco, i tiri di Steph Curry sono per una gran maggioranza stupidi. Tiri quasi da metà campo (come quello con cui ha vinto, a 0,6 secondi dalla fine, la partita dei record di cui sopra), tiri da marcato, tiri in transizione senza nessuno pronto a prendere l’eventuale rimbalzo. Anche l’allenatore della squadra dei bimbi in parrocchia direbbe che non è così che si gioca a basket. Ma Curry, quei tiri stupidi frutto di strategie stupide, li mette tutti: o meglio, li mette con percentuali migliori di quelle che hanno gli altri con tiri intelligenti.

 

“Unbelievable!”, urlano i commentatori americani tutte le volte che Curry fa uno dei suoi numeri (oltre che un tiratore soprannaturale, ha anche doti eccezionali di passaggio e trattamento di palla), e questo “incredibile” per una volta è letterale. I giocatori avversari buttano a terra gli asciugamani con stizza, i compagni di squadra aprono la bocca e strabuzzano gli occhi. E’ la costernazione che di solito si vede davanti a un colpo di fortuna improvviso. Oppure, più raramente, davanti a qualcuno che sembra seguire un set di regole diverso da quello dei mortali, e che finisce per cambiare le regole per tutti gli altri. L’Nba, fabbrica a tempo pieno di miti da consumare a scopi pubblicitari, è abituata a venerare i campioni, ma Curry genera soprattutto sbigottimento.

 

[**Video_box_2**]Steph Curry sta già cambiando il basket – alcuni dicono in peggio, come ha notato Robert O’Connell in un articolo recente sull’Atlantic, perché adesso tutti vogliono fare gli stessi tiri stupidi del campione. Ma la sua ascesa è uno studio sugli effetti devastanti del genio non solo nel basket e non solo nel mondo sportivo. Come nelle arti visive, nella letteratura, in ogni ambito della cultura umana il genio definisce un prima e un dopo. I problemi sono tutti degli eredi.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.