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Quanto poco spende l'Italia per la difesa dell'Ucraina
Siamo al 21° posto su 27 paesi europei per supporto diretto a Kyiv: dal 2022, è stato impegnato lo 0,14 per cento del pil in aiuti bilaterali. In valori assoluti, significa meno di un miliardo di euro all’anno
L’Italia nel 2025 ha approvato finora un solo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, a fronte di sostegni ben più consistenti da parte di altri paesi europei. Eppure la maggioranza non riesce ancora a trovare un accordo per firmare un secondo decreto di invio di armamenti a Kyiv. La Lega di Matteo Salvini, in particolare, non fa segreto della sua contrarietà a qualsiasi decisione in tal senso, ribadendo il concetto di “non coinvolgimento diretto” dell’Italia nel conflitto. Tanto clamore politico sarebbe giustificato se il nostro paese stesse sostenendo l’Ucraina con un impegno economico e militare significativo. Così, tuttavia, non è: l’Italia è tra i Paesi della Nato che meno hanno fornito armi a Kyiv.
In discussione c’è il dodicesimo pacchetto di aiuti nel corso di quasi quattro anni di combattimenti. Sebbene il contenuto dei provvedimenti sia secretato, emerge con evidenza che l’Italia ha notevolmente rallentato le consegne di armamenti rispetto ai primi mesi del conflitto. Cinque furono i decreti approvati nel primo anno di guerra, tre nel 2023, due nel 2024 e un solo decreto finora nel 2025. Ora la Lega vorrebbe rallentare ulteriormente, ostacolando il via libera al secondo pacchetto dell’anno.
Il confronto con gli altri paesi europei è impietoso. Secondo i dati raccolti dal Kiel Institute, l’Italia si colloca al 21° posto su 27 paesi europei per supporto diretto a Kyiv: dal 2022, è stato impegnato appena lo 0,14 per cento del pil in aiuti bilaterali. Tradotto in valori assoluti, significa meno di un miliardo di euro all’anno, ovvero circa 20 euro per ciascun cittadino italiano. Una cifra simbolica, soprattutto se confrontata con il bilancio complessivo dello stato, e una goccia nel mare rispetto agli impegni assunti da altri paesi europei. Per avere un termine di paragone, la Danimarca – lo stato europeo che più ha speso per l’Ucraina – ha dedicato il 2,9 per cento del proprio pil; la Germania lo 0,6 per cento; la Francia lo 0,3. A questi importi vanno poi aggiunti i contributi dell’Unione Europea, ripartiti proporzionalmente alla dimensione economica di ciascuno stato.
L’impegno italiano rimane ridotto anche se si considerano i soli aiuti militari diretti. Secondo le stime degli analisti e ricostruzioni giornalistiche, il totale dei contributi del nostro Paese non supera i 2 miliardi di euro. Anche in questo caso, il confronto internazionale è chiaro: la Germania ha stanziato oltre 20 miliardi, la Francia quasi 7, la piccola Danimarca circa 10 miliardi. Perfino il lontano Canada ha destinato circa 5 miliardi di euro alle forze armate ucraine, superando di gran lunga l’Italia. Questi numeri chiariscono che, al di là delle parole e delle dichiarazioni politiche, Roma contribuisce in maniera marginale al sostegno militare a Kyiv rispetto ai principali alleati occidentali.
Una differenza sostanziale riguarda il tipo di armamenti inviati. L’Italia ha scelto di non fornire sistemi d’arma considerati eccessivamente offensivi. Non sono stati donati carri armati né aerei da combattimento, a differenza di quanto fatto da molti partner europei. Il grosso del contributo italiano si è limitato ad alcune decine di obici d’artiglieria, due batterie di contraerea Samp/T (secondo alcune fonti ucraine ormai quasi esaurite nelle munizioni), e numerosi mezzi da combattimento e veicoli da trasporto truppe in via di dismissione dall’Esercito italiano. Risorse utili per logistica e seconde linee, ma certamente insufficienti a proteggere il fronte, oggi soggetto a bombardamenti, droni esplosivi e attacchi missilistici di precisione.
Inoltre, il rallentamento delle consegne non riguarda solo i numeri, ma anche la velocità con cui gli armamenti giungono sul terreno. Altri paesi europei hanno instaurato catene logistiche efficienti che permettono di consegnare sistemi sofisticati entro settimane dall’approvazione politica; l’Italia, invece, soffre di lentezze burocratiche e di una prudenza politica che, se da un lato evita esposizioni e rischi, dall’altro limita l’impatto reale del nostro sostegno. I dati dipingono un quadro nitido: l’Italia contribuisce molto meno di quanto spesso dichiarato dalla sua classe politica. Sia da chi si fregia del supporto nazionale all’Ucraina, sia da chi ne farebbe volentieri a meno, come Salvini.