
Ansa
lassismo generalizzato
I prof. larghi di manica salvano la carriera ma hanno già perso l'anima
Un'inchiesta dell'Atlantic ha dimostrato che la media dei voti agli esami è aumentata vertiginosamente: tanti C - in Italia un 20, al massimo un 22 - si sono trasformati in A, cioè trenta pieni. Negli Stati Uniti i docenti, oltre a valutare, vengono valutati dagli studenti
Se il voto di scambio fa pensare ad Achille Lauro e alle sue pratiche levantine, d’ora in poi potremo associarlo anche alle università americane. Nulla sembra più distante da un mercimonio di quelle asettiche istituzioni d’oltreoceano. E invece non sono meglio di noi. Un’inchiesta dell’Atlantic mostra che la media dei voti agli esami è aumentata vertiginosamente: tanti C – in Italia un 20, al massimo un 22 – si sono trasformati in A, cioè trenta pieni. Non potendo attribuire tutto al fosforo, i prof. hanno ammesso che dietro l’improvvisa fioritura di talenti c’è un piccolo, osceno segreto di Pulcinella. Negli Stati Uniti i docenti, oltre a valutare, vengono valutati dagli studenti. Queste pagelle finiscono nei curricula dei cattedratici e sono fondamentali quando si apre il mercato accademico e le università si contendono a suon di dollari i più apprezzati. Il meccanismo non è immune da difetti. In teoria andrebbe giudicato il modo di fare lezione, ma il gradimento degli studenti va sistematicamente ai professori di manica larga, e così si è creato un circolo vizioso di voti alti tra gli uni e gli altri.
In Italia le valutazioni fatte dagli studenti sono un rituale senza conseguenze perché da noi non esiste un vero mercato dei docenti, pressoché inamovibili, nati e morti nello stesso ateneo. Eppure anche qui i voti si gonfiano come rane. La ragione è semplice: i corsi di laurea sopravvivono finché hanno un certo numero di iscritti. Promuovere indiscriminatamente serve a trattenere gli studenti e scongiurarne la fuga. Lasciamo da parte le considerazioni ovvie sullo stato di salute di un’università che ha paura di selezionare, e spezziamo una lancia in difesa del voto. In un mondo dove la maggior parte delle cose capitano a caso, l’esame è una delle poche parentesi dove ciascuno viene riconosciuto per ciò che vale davvero. Nessuno prende 18 o 30 per fortuna: o hai studiato e capito, oppure no. Un brutto voto può diventare lo specchio che mette davanti ai propri limiti e serve a non farsi illusioni spropositate. Ma anche senza questa funzione pedagogica, il voto resta un’oasi di giustizia nel deserto di una realtà che, per tante ragioni, è iniqua. Se l’arbitrio di mamma e papà distribuisce l’amore tra i figli in modo assolutamente incomprensibile, se da adulti ci si guadagna simpatie e antipatie spesso immeritate, l’università dovrebbe essere il luogo dove non importa come mi chiamo e cosa gli altri pensano di me ma solo ciò che so fare, e lo dice con un voto.
Adesso si è scoperto che è più comodo dire sì a tutti. E’ difficile scalzare le leggi non scritte di un lassismo generalizzato: degli studenti che devono laurearsi in fretta, dei docenti che non vogliono grane, dei corsi che cercano di sopravvivere. Però, un professore che nega il voto come strumento di misura aumenta, e non ce n’è bisogno, le ingiustizie della vita e tradisce il proprio lavoro. Se salva la carriera, ha già perso l’anima.

il discorso
Volantinare Mattarella sulla libertà a scuola

Un tuffo nella nostalgia
I cellulari sono vietati, ma alla musica non si rinuncia. Ecco che torna l'mp3
