(foto Ansa)

Atenei, telematiche e paura della concorrenza

Carlo Marsonet

Dietro gli attacchi alle università telematiche si nasconde la paura della concorrenza: la formazione digitale cresce, risponde a nuovi bisogni e sfida un sistema che spesso difende solo sé stesso

L’ostilità alla concorrenza è nel Dna del paese, e la campagna contro le università telematiche ne è l’ennesima conferma. Ogni soluzione ideata da individui o imprese per rispondere a nuovi bisogni è vista come minaccia, mai come opportunità. Non esiste più un solo modello “tradizionale” di università. I tempi cambiano, e bisognerebbe adattarsi. La domanda è semplice: perché ogni novità è percepita come un pericolo? L’adattamento è una condizione essenziale per migliorare. E davvero crediamo che ci sia un’unica chiave per aprire tutte le porte? Il pluralismo piace molto a parole, meno nei fatti. E allora si mascherano le vere ostilità – contro la concorrenza, contro la libertà di scelta – dietro nobili pretesti. Si dice, ad esempio, che le telematiche isolano gli studenti, che manca il rapporto umano. Ma il così detto DM 1835 del 6 dicembre 2024, frutto di un tavolo con CRUI, CUN, ANVUR, CNSU e United, ha già regolamentato il rapporto fra docenti e studenti anche nella didattica digitale. Un’altra critica riguarda la “concorrenza sleale” verso gli atenei tradizionali. Ma non è forse vero che le telematiche rispondono meglio a esigenze nuove, offrendo formazione accessibile e compatibile con il lavoro? La flessibilità è una colpa o una risposta efficace a un bisogno reale? E poi: davvero i corsi delle telematiche sarebbero “più facili”?

La difficoltà non dipende dal tipo di università, ma dalla qualità dell’insegnamento. In sostanza, le telematiche forniscono un servizio richiesto, flessibile e sostenibile, senza abbassare la qualità. E infatti molte università “classiche” stanno introducendo corsi ibridi, anche online. La loro crescita è un fatto. Senza di loro, in un paese con pochi laureati, l’Italia sarebbe ancora più in fondo alle classifiche europee. Il sospetto è che dietro gli attacchi ci sia la difesa dell’esistente, non della qualità. Non si sta proteggendo l’università, ma una quota di mercato. La vera sfida non è tra aule accoglienti e fredde piattaforme digitali, ma tra chi sa offrire strumenti utili a uno studente che deve affrontare un mercato del lavoro in trasformazione. Ed è proprio qui che la formazione digitale può dare il meglio. Forse è questo, in fondo, che fa davvero paura.

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