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contro la polemica

Né con i giovani muti all'esame di maturità, né con i matusa col ditino alzato

Camillo Langone

Tra i ragazzi che fanno scena muta all'esame e i pedagoghi che alzano il tono ammonitore, più che un dibattito sembra una recita stanca. Conviene trovarsi qualcosa di più serio da difendere dell'esame di maturità come ultimo baluardo della civiltà

A me queste notizie di ragazzi infingardi che fanno scena muta all’esame, e di pedagoghi che alzano il dito ammonitore, mi mettono voglia di scappare, di risparmiarmi l’ennesimo dualismo, di evitare arruolamenti sia fra i giovanilisti sia fra i matusa. Mi mettono voglia di andare a leggere “Chiudiamo le scuole!” di Giovanni Papini. Cosa che sveltamente faccio anche perché più che un libro è un pamphlet, più che un pamphlet è una sottile raccolta di articoli. Solo che quel Papini estremista e futurista era ancora troppo ottimista e perciò si spingeva a scrivere frasi del seguente tenore: “Chi è contro la libertà e la gioventù lavora per l’imbecillità e per la morte”. Dunque il maestro di noi stroncatori non stroncava tutti e tutto, come imparzialmente bisognerebbe fare, lodava i giovani, e questa è una debolezza. I giovani non vanno lodati mai, così come non vanno lodati i vecchi. Anche perché non ci sono più i vecchi di una volta. Oggi i cosiddetti vecchi sono persone cresciute col frigorifero, il termosifone e la televisione, non hanno abbastanza titoli per pontificare, per esortare a sacrifici e studio indefesso.

Purtroppo i vecchi veramente validi sono quasi tutti morti, sono le querce della generazione precedente, non i nonni bensì i bisnonni degli infingardi odierni. Sono gli italiani cresciuti prima del boom economico e magari proprio durante la guerra: l’ultima generazione laureata all’università della vita. Loro non avrebbero mai lamentato la “mancanza di empatia del corpo docente” sia perché ai loro tempi, peggiori per tanti versi, migliori per la lingua italiana, l’odiosa parola “empatia” non si usava, sia perché dal corpo docente era normale attendersi bacchettate sulle dita, tirate d’orecchie, calci nel sedere, altro che comprensione. Erano tempi in cui all’esame di stato ci si presentava in giacca e cravatta, se maschi, o con la gonna sotto il ginocchio, se femmine. Adesso che a sfoggiare il tatuaggio e l’orecchino possono essere indistintamente docenti e discenti come si fa, anche volendo, anche essendoci portati, a parteggiare? I due gruppi esteticamente si confondono e di sicuro sono tutti fragili. I video degli infingardi in braghe corte che si lagnano del ministro mi fanno sbadigliare (da quanti decenni sento queste frasi?), ma pure i post dei precettori del Ritorno all’Ordine suscitano il mio tedio: l’esame di maturità come ultimo baluardo della civiltà? Davvero? Difendiamo qualcosa di più serio.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).