(foto Ansa)

Il colloquio

Zoccoli (Infn): “Il solo contratto nazionale penalizza i ricercatori. Basta ideologia”

Luca Roberto

Il presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare: "Le regole attuali porteranno a un dimezzamento del numero dei ricercatori. Ci vuole più flessibilità, in linea con gli altri contesti europei"

“Il contratto nazionale di ricerca come unico strumento contrattuale ha dei grossi problemi di natura politica che rischiano di rendere la situazione dei nostri ricercatori ben più precaria di prima”. Lo dice, parlando con Il Foglio, Antonio Zoccoli, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e presidente della Consulta dei presidenti degli enti di ricerca (Coper). La scorsa settimana ha partecipato al tavolo tenuto al ministero dell’Università e della Ricerca con la ministra Anna Maria Bernini. E anche in quell’occasione ha elencato i problemi della nuova tipologia contrattuale, entrata in vigore da un paio di mesi. “Per come è strutturato, il contratto nazionale di ricerca ha forti implicazioni sul nostro sistema”, dice Zoccoli. “Attualmente costa il doppio dei vecchi assegni di ricerca, ma nella legge ci sono limiti di budget che sono impostati sulla media dei contratti degli ultimi tre anni. Per questo il numero dei contratto di ricerca è destinato a dimezzarsi. Un controsenso, se pensiamo a un momento storico come questo, dove stanno emergendo nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale alle scoperte in campo quantistico. E per cui sarebbe importantissimo fare nuovi investimenti sui giovani ricercatori. Moltissimi andranno all’estero”.

 

La seconda implicazione, ragiona ancora il presidente dell’Infn, riguarda proprio gli enti di ricerca. “Noi purtroppo rientriamo nella Pubblica amministrazione. La domanda da farsi è: in cosa differisce il nuovo contratto nazionale da un contratto da ricercatore a tempo determinato? Molto difficile quantificarlo. Per questo molti ricercatori finiranno per fare ricorso al Tar per vedere riconosciuto un trattamento pari al contratto nazionale. Ma così aboliremo una figura flessibile, intermedia, e saremo gli unici a livello europeo a non avere una figura come il ricercatore post-doc”.

 

L’ulteriore problema, ragiona ancora il presidente Zoccoli, riguarda il trattamento economico tra gli assegnisti di ricerca e i ricercatori con il contratto nazionale. “Se si compara lo stipendio dell’assegnista di ricerca, circa 22-23 mila euro l’anno, con quello del contratto nazionale, circa 37 mila euro l’anno, si scopre che al netto l’importo è praticamente lo stesso. Quello che varia sono l’Irpef, gli addizionali regionali, l’Irap. E il Tfr, che per la prima volta viene riconosciuto esplicitamente al ricercatore. Ma ci si può attaccare a una riforma che introduce un sistema così rigido solo per pagare un differenziale di tasse?”. L’estrema rigidità del nuovo sistema, peraltro, aggiunge ancora il presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, rischia di non consentire un reclutamento di risorse umane fondamentale per mandare avanti il lavoro dei vari dipartimenti. “Qui con noi lavorano i cosiddetti tecnologi, adoperati per lo più nelle nostre strutture di ricerca. E’ chiaro che nei confronti di queste figure professionali, spesso ingegneri, dobbiamo cercare di essere attrattativi almeno alla pari del privato, che offre sicuramente salari competitivi. Anche per questo il solo contratto nazionale di ricerca rischia di essere un ostacolo”.

 

Anche per questo nell’incontro al ministero il Coper ha confermato all’interlocutore politico il sostegno affinché l’iter parlamentare per introdurre nuove forme contrattuali vada avanti. Come del resto aveva già fatto in passato insieme alla Conferenza dei rettori (Crui). Posizioni che, insieme a centinaia di ricercatori e decine di professori universitari, cozzano sempre più con gli strepiti dei sindacati (in primis la Cgil) e dei partiti di opposizione (soprattutto il Pd) che contro il ddl Bernini hanno eretto vere e proprie barricate perché, a loro giudizio, renderebbe ancor più precario il sistema della ricerca italiana. “Uno può anche piegarla ideologicamente come vuole, ma quello che ho descritto è la realtà dei fatti”, conclude allora Zoccoli. “Ripeto, dobbiamo chiederci se uno strumento così rigido vale la pena mantenerlo in piedi per poter pagare una fascia aggiuntiva di tasse. O almeno, questo è quello che si chiedono molti giovani ricercatori. Molto più precari oggi di quanto non lo fossero già ieri”.

  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.