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Insegnamenti impossibili

Dal clima all'empatia. Non c'è giorno che a scuola non sia proposta una nuova materia

Arnaldo Greco

L'illusione di delegare alla scuola ogni aspetto dell'educazione dei ragazzi. Fioccano proposte di nuove materie scolastiche, dall'ora di clima a quella di empatia. Ma resta un dilemma: come si studiano? 

"A scuola servirebbe un’ora di educazione al clima”, sì ma anche “un’ora di educazione alla gentilezza”, sì ma pure “un’ora di educazione ai social”, certo e pure “un’ora all’aperto ogni giorno”, e poi “un’ora di psicologia”, “un’ora di cittadinanza digitale”, “un’ora di made in Italy”, “un’ora di filosofia delle tecnologie”, “un’ora di educazione sanitaria”, “ripristinare l’ora di latino alle medie”, un’ora di filosofia ma fin dalle elementari” e via dicendo.  

Non passa giorno senza che un uomo politico, un passante qualsiasi, un’associazione di categoria o un esperto di qualcosa proponga di aggiungere un’ora a caso – naturalmente della materia di loro interesse – nell’orario scolastico, al punto che, se volessimo dar retta a tutti, la giornata sui banchi dovrebbe durare 47 ore. Con “l’ora di cinema”, “l’ora di dialetto”, la sempreverde “ora di educazione sessuale”, quella di “attività domestiche” (per fortuna adesso proposta a tutti i generi), “l’ora di coding”, qualche giorno fa persino l’ora di “cultura no vax” e “l’ora in cui parlino solo i ragazzi”. Anche se gli accumulatori seriali di nuove materie sono poi, quasi sempre, gli stessi che mettono in guardia dal peso eccessivo degli zaini e chiedono che i ragazzi non siano oberati di compiti – magari attraverso una di quelle catene di Sant’Antonio secondo le quali i compiti estivi sono il male, perché l’estate è fatta per correre su campi di grano gialli, inseguire le rane con spade di legno e immergersi nei torrenti gelati.

Tutto nasce, ovviamente, dall’illusione che si possa delegare alla scuola ogni aspetto dell’educazione dei ragazzi, deresponsabilizzandosi peraltro da ogni altro comportamento. Sì, ragazzi nostri, gli adulti trascorrono la propria giornata tra insulti omofobi e gogne pubbliche, però, ehi, a scuola vi abbiamo aggiunto l’ora di empatia, quando verrà il vostro turno fatene buon uso. Ciò che insospettisce, infatti, è la consequenzialità, perfino quella in buona fede, per cui a ogni problema o notizia avvilente la soluzione sia ricamare sull’orario scolastico.  Non a caso è ormai diventato un riflesso condizionato: “dovremmo fare un’ora di educazione civica in più”. E pazienza se chiunque consulti uno di quegli inquietanti registri elettronici con cui i genitori possono seguire ossessivamente i voti dei propri figli, sa bene che ormai l’educazione civica è spalmata su ogni materia e i ragazzi ricevono più voti in educazione civica che per ogni altra disciplina. Speculare all’educazione civica come vessillo dei buoni, c’è l’indifendibile ora di religione, a detta di tutti sacrificabile e sostituibile per ogni scopo: dall’ora di “religione laica”, all’ora di “intelligenza emotiva”, fino “all’ora in più di educazione fisica” proposta sull’onda delle vittorie olimpiche (se dire che ci accontenteremmo di palestre scolastiche realmente accessibili suona populista fa niente, perché è così). 


Su tutta questa mole infinita di proposte aleggia un grande dubbio, comune a quasi ogni nuova disciplina: ma come si svolgerà un’ora di empatia settimanale? Come saranno i testi scolastici di empatia? Come la lezione? Cosa si studia? A meno che la difficoltà di immaginare “l’ora di empatia” non dipenda proprio dal non aver studiato empatia a scuola, che pure potrebbe essere. E “cittadinanza digitale” come si studia? Si votano referendum online? Si impara a scaricare certificati digitali online? Magari senza farsi prendere dalla rabbia quando non sai leggere i captcha o non sai riconoscere i semafori e il sistema pensa tu sia un robot? Si impara a scegliere la password più inespugnabile con maiuscole e segni speciali al posto giusto? Nell’impossibilità di rispondere a ognuna di queste domande resta il fatto che forse la proposta più bella di sempre è ancora quella di Vasco Rossi di aggiungere all’orario “un’ora di educazione alla solitudine”. Certo, è difficile spiegare la solitudine mentre sei a ottanta centimetri dal tuo compagno di banco – da quelle che grazie all’ex ministra Azzolina abbiamo imparato a chiamare “rime buccali” – ma perlomeno è chiaro come fare i compiti a casa. In camera e in silenzio.

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