Un occhio a Parigi e uno a Bolzano

Tornare a scuola in presenza, tra tracciamento e screening

Protocolli, quarantene e tamponi. Parla la dottoressa Maria Luisa Iannuzzo

Marianna Rizzini

Le differenze tra l'autunno e oggi e il "paradosso" del positivo che potrebbe uscire dall'isolamento prima della sua classe. Intanto a Bolzano dal 7 aprile test obbligatori (autosomministrati) per chi vuole seguire in presenza

“Rivalutare la possibilità di riaprire le scuole d’infanzia e almeno le primarie anche in zona rossa dopo Pasqua”: lo dice a Skytg24 la ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti, all’indomani delle manifestazioni della Rete “Scuola in Presenza” in varie città. E se aprire è una priorità, lo è anche non richiudere in un baleno. Ma è possibile far funzionare il tracciamento, la parola magica che sembrava dover risolvere tutti i problemi negli istituti e che invece ha fatto in qualche modo acqua? Nel sistema si sono infatti aperte alcune criticità, spiega la dottoressa Maria Luisa Iannuzzo, specialista in Medicina Legale che si è occupata di tracciamento sulla popolazione generale, a inizio pandemia, e poi in ambito scolastico nella Regione Veneto. “Alla riapertura delle aule, nel settembre scorso, ci siamo organizzati per tracciare con una doppia finalità”, dice Iannuzzo: “Ridurre al minimo la diffusione del contagio e tenere aperte in sicurezza le scuole. Ma purtroppo, con il passare dei mesi, i protocolli di tracciamento sono stati modificati non sempre in senso utile per il settore scolastico, di fronte al saliscendi dell’indice RT e con l’ansia crescente per le varianti – alcune delle quali, vedi l’inglese, circolano però sul nostro territorio da settembre”.

 

La dottoressa Iannuzzo ha visto “fasi più elastiche rispetto a quella attuale, in cui la chiusura di una classe, dalla seconda elementare in avanti, avveniva in presenza di due o più casi positivi. Ora invece il protocollo è più restrittivo: si prevede che con un solo caso positivo la classe sia chiusa. I contatti stretti del positivo, cioè, vengono messi in quarantena per 14 giorni ed escono dalla quarantena con tampone molecolare negativo al quattordicesimo giorno, mentre prima si usciva con un tampone antigenico negativo al decimo giorno. Significa che quella classe resta chiusa, calcolando il tempo del referto, almeno sedici giorni, e che i contatti stretti del positivo – che in assenza di sintomi può uscire dopo tampone molecolare negativo al decimo giorno  – sono sottoposti a un regime più restrittivo di quello a cui è sottoposto il positivo stesso, con chiusura contestuale della classe per quasi tre settimane”.

 

Coniugare la sicurezza e la didattica, è il (sempiterno) punto. Si può? “A mio avviso”, dice Iannuzzo, “andrebbe riportato in vigore il protocollo in vigore all’apertura autunnale, quello che prevedeva – tranne che per nido, materne e prima elementare, situazioni in cui è più difficile a prescindere mantenere il distanziamento – il passaggio della classe, in presenza di un solo caso positivo, a un regime di auto-monitoraggio. Il positivo veniva cioè messo in isolamento, mentre i suoi contatti stretti, per dieci giorni, pur andando a scuola in presenza, interrompevano le attività più a rischio emissione di droplets, come l’educazione fisica, il coro, il canto e le attività di gruppo all’esterno, oltre ad osservare ancora più rigidamente le regole di distanziamento e igiene. Al decimo giorno tutta la classe eseguiva un tampone antigenico rapido. Lo dico per esperienza: non abbiamo mai avuto un problema”. Molti pensano ora che la soluzione possa essere quella francese: test salivari in classe per tenere aperte le scuole. “Lo screening è utile a patto che sia davvero sequenziato, come previsto per gli operatori sanitari, fatto con regolarità e, in ambito scolastico, con l’intento di tenere aperte le aule, isolando dalla classe chi potrebbe contagiare. In altre parole: mi interessa trovare un caso positivo per contenere la circolazione del virus, non in sé. Questo non vuol dire, naturalmente, che non si debba chiudere quando una classe presenta diversi casi positivi. Se però non si può fare uno screening regolare, è meglio un tracciamento serio in cui, come dicevo, si segue il virus in presenza di un caso positivo. Detto questo ben venga il test salivare, peraltro più sensibile del tampone antigenico naso-faringeo e meno invasivo per i bambini”. 


Intanto, nella Provincia Autonoma di Bolzano, dal 7 aprile entrerà in vigore un’ordinanza che prevede un progetto pilota di screening scolastico: da quel giorno, visto il quadro epidemiologico ancora critico, per chi vorrà frequentare in presenza sarà obbligatorio lo screening con test auto-somministrato, un tampone meno invasivo, due volte alla settimana (su tutti gli alunni). Se c’è un caso positivo si procede al molecolare e, in caso di conferma, alla quarantena. Chi non vuole partecipare segue le lezioni in Dad. Il sistema ha funzionato in Austria. “Proviamo”, dicono dall’Assessorato alla Scuola di Bolzano in lingua tedesca (ma anche le scuole in lingua italiana e ladina parteciperanno). 

 

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.