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cattivi scienziati

Quando scienza e democrazia cooperano, una società acquisisce la capacità dell'autocorrezione

Enrico Bucci

Il futuro non dipende dalle macchine, ma dalla qualità dello spazio pubblico in cui la conoscenza viene discussa, criticata e indirizzata verso il bene comune. Il progresso non è quindi un prodotto automatico delle tecnologie, ma una conseguenza politica della loro gestione

Il 27 novembre, nell’ambito del convegno Fnomceo “La scienza medica al servizio dell’umanità”, si terrà una tavola rotonda dal titolo “La Scienza è futuro: la via del progresso è democrazia”. Vale la pena soffermarsi su questo titolo, perché non è uno slogan: enuncia una relazione che si può dimostrare seguendo la logica dei fatti. E riguarda direttamente ogni lettore, perché descrive il modo in cui una società sceglie che futuro costruire. La scienza è un metodo collettivo per ridurre l’errore; la democrazia è un metodo collettivo per distribuire il potere. Quando i due metodi cooperano, una società acquisisce la capacità fondamentale dell’autocorrezione. Quando si separano, rimangono due esiti: la superstizione o l’autoritarismo.

 

Il ragionamento inizia da un punto semplice: il futuro non si indovina, si costruisce. E si costruisce solo se si dispone di strumenti di conoscenza affidabili, cioè verificabili, replicabili, discutibili. La scienza non è un insieme di verità definitive, ma un processo aperto in cui ogni affermazione deve poter essere controllata da altri. La storia della conoscenza mostra un fatto ricorrente: quando si chiude il dibattito, quando si affida l’autorità della verità a una gerarchia incontestabile, il progresso si arresta. Quando si riconosce che la critica è parte dell’impresa scientifica, la conoscenza avanza. È lo stesso principio che rende possibile la democrazia: nessuna tesi può sottrarsi al giudizio pubblico.

 

Da questo punto discende un secondo passaggio dimostrativo: la democrazia non elimina il conflitto, ma lo organizza. Trasforma il dissenso in procedura, la competizione tra idee in un meccanismo di selezione. È per questo che le società democratiche producono più innovazione, maggiore capacità di risposta alle crisi, più soluzioni ai problemi complessi. Non perché siano moralmente superiori, ma perché consentono agli individui di rilevare gli errori senza paura. La scienza funziona allo stesso modo: è una macchina che avanza solo identificando e correggendo gli errori. Se la libertà di critica viene meno, l’errore non sparisce: diventa strutturale.

 

Si osserva la stessa dinamica nel rapporto tra scienza, tecnologia e potere. I sistemi autoritari raccolgono molti dati, ma non producono trasparenza; sviluppano strumenti potenti, ma senza i contrappesi etici e istituzionali che servono per usarli senza danneggiare i cittadini. Una ricerca scientifica che si sviluppa in un contesto democratico vive invece di controllo incrociato: revisione tra pari, accesso pubblico ai dati, responsabilità delle istituzioni. Non elimina le imperfezioni, ma le rende gestibili. L’autoritarismo moltiplica gli errori proprio perché li nasconde. Si arriva così a un nodo essenziale: la scienza è un bene pubblico. Nessuna scoperta che modifica la vita delle persone – vaccini, terapie, tecnologie digitali, energia – può essere gestita in modo opaco senza creare disuguaglianze e instabilità. La democrazia è l’unico sistema che dispone di procedure per decidere come distribuire i benefici e come regolare i rischi. Senza istituzioni che rispondono ai cittadini, la scienza può trasformarsi in un apparato tecnico al servizio di pochi; con istituzioni trasparenti e responsabili, diventa uno strumento di emancipazione.

 

A questo punto il quadro è chiaro: le società che investono in scienza aperta, istruzione, libertà di ricerca e trasparenza istituzionale sono le stesse che mostrano, in modo sistematico, maggiore salute pubblica, più innovazione sostenibile, più stabilità economica. Non è un insieme di coincidenze: è un nesso causale. Una cittadinanza istruita crea una domanda di verità verificabile; un’informazione libera permette il controllo sociale sugli errori; istituzioni trasparenti trasformano la conoscenza in decisioni utili alla collettività. Il progresso non è quindi un prodotto automatico delle tecnologie, ma una conseguenza politica della loro gestione.

 

E allora si comprende pienamente il senso del titolo della tavola rotonda: la scienza è il futuro perché fornisce il linguaggio con cui interpretiamo il mondo e lo modifichiamo; la democrazia è la via del progresso perché è l’unico ambiente in cui questo linguaggio può essere usato in modo responsabile, contestabile, condiviso. Senza democrazia, le tecnologie diventano strumenti opachi nelle mani del potere; con la democrazia, diventano risorse per la liberazione delle capacità umane. Il futuro non dipende dalle macchine, ma dalla qualità dello spazio pubblico in cui la conoscenza viene discussa, criticata e indirizzata verso il bene comune.

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