Ansa

Cattivi scienziati

L'uragano della vita

Enrico Bucci

Quanto accaduto nei Caraibi è una versione macroscopica e instabile di ciò che accade in ogni cellula. Ogni organismo vivente è un gradiente in equilibrio dinamico: trasforma energia libera in lavoro, produce calore, modifica l’ambiente circostante e, finché riesce a mantenere la differenza di potenziale, conserva la propria forma

L’uragano Melissa, formatosi sulle acque dei Caraibi e poi intensificatosi fino a diventare un ciclone di categoria 5, è un esempio maestoso di struttura dissipativa: un sistema che nasce spontaneamente quando un flusso di energia attraversa la materia, mantenendola lontana dall’equilibrio termodinamico. In questo è una manifestazione ordinaria di un principio universale: quando l’energia disponibile supera una soglia critica, la materia tende a organizzarsi in forme che ne permettono la dissipazione più efficiente. È così che si formano le celle convettive in un fluido riscaldato, i vortici di un uragano, e, molto probabilmente, le prime strutture chimiche che hanno dato origine alla vita sulla Terra.

 

Il mare che ha alimentato Melissa era una distesa di energia potenziale. L’acqua superficiale, riscaldata dal sole tropicale, conteneva una quantità enorme di calore latente. Quando l’aria sopra di essa si è saturata di umidità, le prime correnti ascendenti hanno liberato quella energia sotto forma di calore di condensazione, avviando un processo di retroazione positiva: più aria calda saliva, più calore veniva rilasciato, più intensa diventava la convezione. La rotazione terrestre, attraverso la forza di Coriolis, ha impresso un momento angolare a quel sistema di flussi, e da quel punto l’uragano ha cominciato a organizzarsi. Ogni strato della sua struttura – l’occhio, il muro dell’occhio, le bande spiraliformi – è una forma ordinata, generata dall’interazione di miliardi di particelle d’aria e gocce d’acqua che scambiano energia e materia in modo continuo.

 

Questa organizzazione non richiede un progetto, né un controllo centrale: emerge dalle leggi statistiche che governano i sistemi aperti. È la stessa fisica che, in condizioni molto diverse, deve aver agito nei fondali marini di quattro miliardi di anni fa, nelle sorgenti idrotermali alcaline. Anche lì esistevano gradienti, ma non termici: chimici ed elettrici. L’acqua calda, ricca di ioni riducenti come l’idrogeno e il solfuro, risaliva dal sottosuolo e incontrava l’acqua oceanica più fredda, ossidata e ricca di anidride carbonica. In quel contatto si formavano barriere minerali di carbonati e solfuri, punteggiate da microcavità e condotti nanometrici. Ogni cavità era una piccola cella reattiva attraversata da flussi di protoni, di elettroni e di molecole: un laboratorio naturale di termodinamica fuori dall’equilibrio.

 

In quei microambienti, la chimica prebiotica non era sospinta dal caso ma guidata dai flussi energetici. La differenza di potenziale elettrico tra interno ed esterno dei pori minerali poteva alimentare reazioni redox capaci di ridurre il carbonio in composti organici semplici. La temperatura, moderata ma costante, favoriva l’accumulo di molecole stabili come acidi carbossilici, amminoacidi e nucleotidi. Nel tempo, le reti di reazioni si intrecciarono fino a formare cicli autocatalitici, cioè sistemi chimici che, come un uragano, si mantenevano in vita grazie al flusso di energia che li attraversava. In entrambi i casi — l’uragano nel cielo e la chimica primitiva nel fondo oceanico — la struttura consente la dissipazione in modo efficiente. Melissa trasporta calore dal mare all’atmosfera e ne uniforma la distribuzione; le prime reti chimiche trasformavano l’energia dei gradienti geotermici in calore e in ordine molecolare temporaneo. La somiglianza non è concettuale, è fisica: l’energia disponibile viene trasformata in lavoro, e quel lavoro genera organizzazione. Quando i flussi cessano, il sistema decade.

 

La vita è nata come estensione di questo principio. Le prime protocellule, racchiuse in membrane minerali o lipidiche, erano piccoli sistemi dissipativi che hanno imparato a trattenere una parte dell’energia del flusso, utilizzandola per mantenere la propria struttura. Ogni organismo vivente, ancora oggi, è un gradiente in equilibrio dinamico: trasforma energia libera in lavoro, produce calore, modifica l’ambiente circostante e, finché riesce a mantenere la differenza di potenziale, conserva la propria forma. Un uragano, in questo senso, è una versione macroscopica e instabile di ciò che accade in ogni cellula. Entrambi nascono da un gradiente e lo consumano. Entrambi generano ordine locale a costo di aumentare l’entropia dell’ambiente. Entrambi interagiscono con ciò che li circonda, modificandolo. La vita ha reso permanente questa condizione grazie alla capacità di duplicare i propri schemi di organizzazione, di ripararsi, di trasmettere informazione. Ma la fisica che la sostiene è la stessa.

 

Quando osserviamo Melissa, vediamo la materia che si organizza per dissipare energia in modo più efficace, come fece quattro miliardi di anni fa nelle sorgenti idrotermali. L’oceano che la genera e quello in cui la vita è nata obbediscono alle stesse leggi: dove esiste un flusso di energia, e dove è possibile l’organizzazione della materia per lasciar passare quel flusso con maggiore efficienza, nascono strutture ordinate e complesse. È in questa continuità che la vita trova le sue radici, in una lunga evoluzione della termodinamica. L’uragano, il metabolismo e la replicazione biologica appartengono allo stesso ordine di fenomeni: la trasformazione dell’energia in organizzazione temporanea, che dissipa in maniera efficiente l’energia disponibile.

Di più su questi argomenti: