Google creative commons

Cattivi scienziati

La troppa pressione burocratica crea l'ecosistema ideale per i burosauri

Enrico Bucci

Non sono entità, ma persone che occupano ruoli stabili tra politica, ministeri e agenzie pubbliche. Questa specie riconosce solo una forma di valore: la crescita della macchina amministrativa da cui dipende. Il paese, invece, riconosce un’altra forma di valore: il lavoro di chi studia, insegna e innova

Il modo più semplice per controllare scienza e istruzione è governare i processi che le rendono possibili. Le decisioni politiche si misurano sui comunicati; gli effetti reali si misurano sul tempo e sulle risorse che arrivano ai docenti e ai ricercatori. In questo spazio cresce un esercito ben riconoscibile: i burosauri. Non sono un’entità astratta, ma persone che occupano ruoli stabili tra politica, ministeri e agenzie pubbliche. Il loro potere deriva dall’aumento delle procedure che regolano qualsiasi attività formativa o scientifica. Negli Stati Uniti, i progetti di controllo della ricerca promossi da Kennedy, Trump e Vance puntano a incrementare verifiche, autorizzazioni e condizioni di accesso ai fondi federali. Il processo amministrativo diventa un filtro politico: chi gestisce i passaggi burocratici influenza le priorità della ricerca più di chi la conduce.

 

In Italia, la pressione burocratica segue una traiettoria diversa ma altrettanto incisiva. Ogni attività viene tracciata, accompagnata da piattaforme, moduli e certificazioni. La vita delle scuole e delle università dipende da adempimenti che hanno lo scopo di attestare che tutto stia procedendo “correttamente”. Il risultato è un sistema che frammenta la responsabilità in molti micro-passaggi: nessuno risponde dei ritardi, nessuno accelera i tempi, tutti richiedono un documento in più. Il PNRR costituisce un caso emblematico. Il piano è stato presentato come motore di rilancio dell’università e della ricerca, ma l’erogazione effettiva delle risorse è vincolata a una sequenza di controlli stratificati. Ministeri, Ragioneria dello Stato, agenzie di monitoraggio, piattaforme informatiche: ogni livello introduce nuove verifiche e passaggi autorizzativi. La spesa procede solo dopo aver superato tutte le porte di questo corridoio amministrativo. In questo corridoio si afferma il burosauro: chi rallenta la spesa ne controlla l’uso e, di fatto, governa i risultati. La fisica buro-termodinamica, descritta su queste pagine, aiuta a comprendere questa dinamica: l’energia investita in un processo pubblico tende a disperdersi in adempimenti, controlli e rendicontazioni; ogni tentativo di accelerare introduce ulteriori livelli di verifica; la quota di lavoro amministrativo cresce più velocemente della produzione di conoscenza.

 

Nel frattempo, la quotidianità di scuole e università cambia: ore davanti a piattaforme, invece che con studenti e studenti in aula, documenti su documenti per attestare attività già concluse, gruppi scientifici bloccati nell’attesa di autorizzazioni su acquisti minimi, enti privati che partecipano ai bandi pubblici costretti a dedicare più risorse alla compliance che alla ricerca. La burocrazia difensiva nasce per impedire errori, ma incentiva l’astensione dal rischio. L’università italiana viene valutata sulla sua capacità di aderire a procedure, non sulla sua efficacia nel produrre risultati educativi e scientifici. I progetti avanzano solo entro margini minimi di discrezionalità; le iniziative si sviluppano nel ritmo imposto dalle verifiche; la formazione e l’innovazione si adattano alla struttura di controllo che le contiene. Il burosauro prospera in questo ecosistema. Partecipa ai tavoli delle riforme, presidia i passaggi amministrativi, decide le priorità senza assumersi gli oneri del fallimento. Produce norme, interpreta norme, applica norme: ogni nuovo strato rafforza la sua posizione. La scienza e l’istruzione diventano funzioni subordinate a un controllo che si auto-giustifica. Il contrasto non è culturale: è organizzativo.

 

La questione cruciale è semplice e materiale. Dove si muove il potere quotidiano? Nei laboratori e nelle aule, dove si producono risultati, o negli uffici dove si autorizzano le condizioni necessarie per produrli? Finché la seconda risposta rimane quella vera, saranno i burosauri a decidere la velocità del futuro del Paese. Non con una visione, ma con una pratica: controllare i rubinetti, misurare le attività, regolare i tempi. Il danno non è solo un ritardo nella ricerca. È la perdita di motivazione, di autonomia professionale, di credibilità internazionale. L’Italia continua ad avere ottimi scienziati e docenti; dispone di giovani capaci e idee in grado di competere. La questione è il contesto in cui sono costretti a operare: un ambiente dove l’efficacia si misura nella correttezza del modulo inviato e nella puntualità della spunta su una piattaforma. Il burosauro non si è estinto con la modernizzazione. Ha semplicemente aggiornato la propria specie. Oggi è digitale, interministeriale, distribuito. Riconosce solo una forma di valore: la crescita della macchina amministrativa da cui dipende. Il Paese, invece, riconosce un’altra forma di valore: il lavoro di chi studia, insegna e innova. La distanza tra queste due logiche è esattamente il punto in cui si decide la qualità del futuro.

Di più su questi argomenti: