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Cattivi scienziati

La lettera del prof. Cognetti sulla medicina di precisione e la risposta del prof. Bucci

L'oncologo ci scrive per dire la sua sullo studio di ROME pubblicato su Nature Medicine e oggetto di un articolo sul Foglio: "L'autore si è fatto prendere la mano da un entusiasmo non fondato su basi solide". La replica

Gentile Direttore,  

ho letto su Il Foglio del 30/09/2025 l’articolo dal titolo: “La svolta dello studio di ROME nella medicina di precisione in oncologia” di Enrico Bucci che descrive in modo molto dettagliato i risultati di uno studio italiano, appena pubblicato su Nature Medicine sul trattamento di pazienti, con tumori solidi metastatici molto avanzati e già ampiamente pretrattati, in base al loro profilo molecolare. Secondo l’autore dell’articolo il lavoro “ha migliorato gli esiti clinici” dei pazienti, che hanno ricevuto il trattamento sperimentale rispetto alle terapie convenzionali e rappresenta “un passo decisivo verso una medicina personalizzata davvero efficace ed applicabile”. Chi le scrive ha attivamente partecipato allo studio inserendo un numero consistente di pazienti e ritenendo che lo studio potesse creare l’opportunità di valutare con grande rigore scientifico la validità o meno di questo approccio.

Al momento dell’esame del manoscritto, riportante i risultati finali dello studio ed avendo valutato che esistevano molte carenze sui dati complessivamente riportati, sulla descrizione delle caratteristiche dei pazienti, sul loro bilanciamento per fattori prognostici e predittivi nei due bracci, sulla metodologia di presentazione dei risultati, in rapporto alla tipologia dello studio, sulle analisi statistiche delle differenze ottenute e sulla valutazione di alcuni obiettivi e/o parametri non coincidenti con il disegno scelto per lo studio stesso, ho ritenuto di non poter derogare dai miei principi scientifici e dalla mia etica professionale, dovendo perciò evitare di fare insorgere false aspettative in una popolazione di pazienti particolarmente sfortunati e con prognosi molto infausta. Ho ritirato quindi il mio nominativo quale coautore dell’articolo. Ho anche inviato all’Editore della rivista una nota molto circostanziata sui difetti e le carenze dello studio, sull’enorme divario tra i deboli ed incerti risultati riportati e le conclusioni eccessivamente favorevoli e positive tratte dagli estensori del manoscritto.

Nel complesso la differenza di risposte obiettive ottenute tra il trattamento molecolare rispetto a quello standard è stata pari a +15 risposte nel braccio sperimentale, numero che corrisponde allo 0,84% dei 1794 pazienti sottoposti ai test genomici. Inoltre esiste una differenza tra le risposte obiettive riportate nel testo inviato alla Rivista e quelle della successiva pubblicazione: in particolare pur lasciando invariato il numero complessivo dei pazienti randomizzati e già valutati, appaiono in questa ultima edizione del lavoro, come responder due pazienti in più nel braccio sperimentale ed uno nel braccio del trattamento standard e queste modifiche hanno reso significativa una differenza che prima non lo era. Questo fatto rivela una condizione di estrema fragilità dell’analisi, negando quindi ogni robustezza statistica al risultato ottenuto.

Per quel che riguarda l’analisi dello studio ed in particolare quella sugli end point secondari bisogna fare riferimento alla tipologia dello studio che è un studio di Fase II e non di Fase III e pur in presenza di risultati interessanti in alcuni sottogruppi di pazienti con determinate alterazioni molecolari, non è possibile trarre conclusioni definitive ma si deve di necessità rimandare ogni certezza a futuri studi confermatori disegnati specificatamente a questo scopo.

Spiace poi dover prendere atto che l’autore dell’articolo pubblicato sul giornale da Lei diretto, che pure è estensore di pregevoli pezzi sull’integrità della scienza, questa volta si è fatto prendere la mano da un entusiasmo non fondato su basi solide, affermando che una volta dimostrato che “tale approccio funziona ora la medicina di precisione deve essere resa accessibile a tutti i pazienti”. Bucci evidentemente non è a conoscenza che attualmente in Italia tutti gli ammalati attendono circa due anni dopo l’approvazione dell’Agenzia Europea EMA, per poter avere accesso ai nuovi farmaci di sicura e comprovata efficacia anche spesso dotati di effetti decisivi sul decorso della malattia di cui sono affetti.

La ringrazio molto per l’attenzione.

Prof. Francesco Cognetti Oncologo

Roma 9 ottobre 2025



Ho letto con attenzione la lettera del professor Francesco Cognetti. Gli riconosco, naturalmente, il diritto di sollevare dubbi e di proporre verifiche su uno studio clinico di rilievo come ROME. È un diritto di ogni scienziato, e quando è esercitato con lealtà intellettuale diventa anche un servizio alla collettività scientifica. Ma non posso accettare che si interpreti il mio articolo sul Foglio come un gesto di entusiasmo acritico o di superficialità rispetto alle implicazioni cliniche dello studio.

 

Ho scritto di un risultato scientifico, non di una promessa terapeutica immediata. Ho discusso un trial di fase 2 che, come ogni studio in quella fase, esplora la plausibilità e la coerenza di un approccio, non la sua applicabilità definitiva. Ho sottolineato i limiti del campione, l’assenza di significatività sull’endpoint di sopravvivenza globale e il necessario approfondimento in contesti di fase successiva. Quando ho scritto che “la sfida non è più dimostrare che la medicina di precisione può funzionare, ma renderla accessibile e rapida per tutti i pazienti che ne possono beneficiare”, intendevo indicare il percorso che rimane da compiere, non un traguardo già raggiunto.

 

Il 1° ottobre, il professor Cognetti mi ha contattato telefonicamente per esprimere alcune perplessità sullo studio, dal quale si era ritirato. L’ho ascoltato con attenzione e rispetto, e gli ho chiesto due settimane di tempo per una prima analisi, chiarendo che avrei cercato il confronto di colleghi esperti, indipendenti e di alto profilo. Nei giorni successivi il nostro scambio è proseguito in modo amichevole: ha condiviso con me riflessioni, documenti, e perfino ulteriori materiali che potrebbero ben dimostrare criticità nello studio.

 

Poi, senza alcun preavviso e prima che trascorressero le due settimane che avevo chiesto per verificare i dati, ha inviato al Foglio la lettera che oggi viene pubblicata, e successivamente ha diffidato il direttore del giornale. Il tono privato e quello pubblico del suo comportamento sono dunque divergenti: dietro un apparente dialogo collaborativo, ha scelto di ricorrere a strumenti mediatici e legali, compromettendo la fiducia necessaria per qualsiasi verifica seria. Questo modo di agire non è compatibile con la correttezza intellettuale che dovrebbe accompagnare ogni segnalazione di presunte irregolarità scientifiche. 

 

In aggiunta, le osservazioni che Cognetti mi ha inviato — e questo è un punto decisivo — si fondano in parte su documenti e materiali non pubblicamente accessibili attraverso l’articolo scientifico che descrive lo studio ROME. Egli stesso lo ha riconosciuto nei nostri scambi privati. Questo significa che la discussione non riguarda soltanto l’interpretazione di dati pubblici, ma l’esistenza di informazioni riservate, bozze, versioni intermedie o corrispondenze editoriali. In questi casi, la via maestra non è quella del giornale quotidiano o della polemica epistolare: è quella delle procedure formali di verifica d’integrità scientifica, che prevedono l’esame diretto dei dati, il coinvolgimento degli autori, il confronto con le istituzioni di ricerca e, se necessario, la richiesta di revisione alla rivista.

 

Chi riceve materiali inediti riguardanti uno studio clinico deve muoversi con la massima prudenza. Il primo dovere è verificare l’autenticità dei documenti, la loro provenienza, la coerenza con le versioni ufficiali pubblicate e il contesto in cui sono stati prodotti. Il secondo è valutare se vi siano elementi che configurino una possibile irregolarità metodologica o etica, e in tal caso attivare i canali appropriati per un audit indipendente. Il terzo è proteggere la reputazione di tutte le persone coinvolte fino a quando non esista una verifica oggettiva, evitando ogni amplificazione indebita.

 

Questo processo richiede tempo. Non si misura in giorni, ma in rigore. Ogni nuovo materiale, ogni documento, ogni messaggio che emerge impone di tornare indietro e ricontrollare i passaggi precedenti. È per questo che il tempo di due settimane che avevo chiesto a Cognetti non è più realistico: non perché io abbia rinunciato a indagare, ma perché il volume e la natura dei materiali ricevuti, uniti alle pressioni mediatiche, rendono necessario un lavoro più profondo e strutturato.

 

Nel frattempo, è importante ribadire un principio di metodo. La scienza non si difende con la fretta, con le diffide o con le campagne di stampa. Si difende con la trasparenza, la tracciabilità e la pazienza della verifica. Quando emergono dubbi su un lavoro scientifico, la domanda corretta non è “chi ha ragione?”, ma “come possiamo accertarlo?”. Ogni scorciatoia che sostituisce la prova con il sospetto e la discussione con la pressione danneggia non solo le persone coinvolte, ma la credibilità dell’intera comunità scientifica. Proprio per questo continuerò a esaminare i materiali ricevuti con lo scrupolo che si deve a qualunque segnalazione seria. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere se qualcosa dovesse risultare sbagliato, né alcun interesse a proteggere qualcuno. Il mio unico vincolo è al metodo, non alle persone. Ma allo stesso modo non accetterò che la ricerca della verità venga trasformata in un’arena personale o in una disputa di visibilità.

 

Quando si mette in dubbio un risultato pubblicato su un’importante rivista scientifica, non si procede scrivendo in tutta fretta, ma ricostruendo i fatti, i numeri e le analisi. Ed è proprio questo che intendo fare, fino in fondo e con la calma che richiede ogni verifica di integrità scientifica.

 

Enrico Bucci

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