
La democrazia, la competenza e gli attacchi scomposti della politica alla scienza
Dalla pandemia al paracetamolo: la politica scopre il gusto dell’antiscienza. Dal Nitag italiano al Cdc americano, se i governi invadono il campo medico per attrarre scettici e no vax. L'importanza del metodo e della competenza
Credo che siamo di fronte a una sorta di nemesi di una parte della politica nei confronti del mondo della scienza. Probabilmente di quella politica che ha visto nelle scelte adottate durante la pandemia Covid un disegno criminoso e un complotto organizzato per minarne l’autorità. Per capire cosa sta succedendo oggi, occorre fare un passo indietro. Il Covid fermò tutti, tranne gli scienziati, la cui importanza tra il 2020 e il 2021 non ha avuto pari nella storia moderna. Sembrava che si stesse realizzando il sogno di Auguste Comte, il quale aveva annunciato che la scienza avrebbe reso superflua la politica. Se le leggi scientifiche sono certe e infallibili, scriveva Comte, la politica non deve fare altro che applicarle senza discussione e affidare il governo agli scienziati. Gli scienziati e i medici in quel periodo avevano la ribalta nel suggerire e, in qualche caso nell’imporre, le scelte per la salute pubblica, occupando sui mezzi di comunicazione di massa gli spazi che erano stati storicamente della politica. La politica stava a guardare e aveva un ruolo più marginale. Quella è stata la scintilla che ha acceso una vera e propria guerra della politica contro la scienza, volta a minare la sua credibilità e il suo modus operandi culminata con gli attacchi a Oms, vaccini, Big Pharma e addirittura al paracetamolo. Questo sentimento antiscientifico ha pervaso molti paesi, tra cui anche l’Italia. Le scelte discutibili sul voto all’Oms e il pasticcio estivo delle nomine relative al nuovo comitato vaccini Nitag sono la prova del tentativo di invasione con lo scopo di accarezzare il ventre molle di una fetta d’elettorato (no vax, esitanti, scettici, complottisti) che può fare comodo mobilitare specialmente in un contesto come quello attuale a bassa affluenza elettorale.
Quello che però oggi preoccupa di più, soprattutto gli scienziati di oltre oceano, è l’attacco frontale e dirompente del governo americano ad alcuni capisaldi della medicina moderna. Robert F. Kennedy Jr. aveva promesso che se fosse diventato segretario alla Salute del governo statunitense (l’equivalente di un ministro) non avrebbe cambiato in modo radicale le regole sui vaccini. Le cose stanno andando diversamente: Kennedy ha ottenuto l’incarico e negli ultimi mesi ha preso decisioni che mettono in dubbio l’utilità o la sicurezza dei vaccini e ne scoraggiano l’uso. Ha anche limitato le capacità dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), l’agenzia federale che si occupa di salute pubblica, e ha nominato in posizioni importanti persone che sostengono alcune delle sue convinzioni antiscientifiche. Ma il fatto più grave è quello dell’attacco di Trump al paracetamolo (la nostra Tachipirina) affermando, citando uno studio con molti limiti, che questo farmaco quando assunto in gravidanza possa provocare l’autismo. Tutto il mondo scientifico è insorto e con una compattezza mai vista prima ha preso le distanze da queste affermazioni confermando che Il paracetamolo è uno dei i farmaci più sicuri in gravidanza, tanto che, al momento, tutte le agenzie regolatorie non danno nessuna controindicazione. La politicizzazione del dibattito medico-scientifico crea solo confusione. Una confusione che inevitabilmente condiziona la vita e le prospettive di benessere di tutta la popolazione.
Uno dei ragionamenti richiamati dalla politica nei suoi attacchi scomposti è quello della necessità della pluralità d’opinioni, in nome della democrazia. Nel nostro mondo c’è chi risponde “la scienza non è democratica”. Tuttavia, questo tipo di risposta finisce paradossalmente con il rafforzare i bersagli che si vuole colpire. La scienza è democratica per definizione, perché permette a chiunque di poter contribuire all’avanzamento in un determinato campo. La premessa è che ciò deve avvenire in un contesto di regole ben definito: il metodo scientifico, quello della riproducibilità degli esperimenti e degli studi e della “medicina basata sulle evidenze” (quest’ultimo termine sarebbe meglio traducibile con “prove d’efficacia”).
La scienza è dunque democratica, ma allo stesso tempo selettiva e meritocratica, nella misura in cui occorrono anni di studio e preparazione per padroneggiarne le regole e diventare uno scienziato con la S maiuscola. Dunque il problema non è la “democrazia” ma la competenza. Quella stessa competenza che fa spesso paura a una certa parte della politica.